E' una carne meravigliosa. Apre infinite possibilità di sapori.
Prima di iniziare, ho messo in una terrina i cuori di carciofo, con acqua e limone, per non farli scurire e per cominciare a profumarli.
E in un'altra ciotola, due arance, sbucciate, aperte a spicchi e ancora tagliate. Da schiacciare leggermente e mescolare con un po' di olio, salvia e menta.
In un tegame largo ho sminuzzato una cipolla, e ho messo due spicchi d'aglio interi. Vanno fatti imbiondire, e quando l'olio è bello sfrigolante, ci vanno aggiunti i pezzetti di pollo, preventivamente infarinati.
5 minuti di scottatura, e si comincia ad aggiugere il brodo, da un bricco a parte.
In ordine, si mettono prima i carciofi (sgocciolati dall'acqua e limone, e da cuocere per una mezzoretta), poi l'arancia (con tutto il sugo, qui, da cuocere per 10 minuti).
La buccia delle due arance non va buttata tutta: si ritagliano alcune striscioline, che andranno a guarnire la cima del piatto.
Profumo.
Sapore.
Piatto da gustare insieme ad un vino siciliano, bianco e fermo, fruttato.
E' un tripudio di sensi.
Così mi metto a tavola.
Con l'idea di godermi una bella fetta della mia vita.
Perché non mi piace ingozzarmi: la sensazione della pienezza di pancia non è sempre piacevole, soprattutto se uno si perde tutto il tragitto in mezzo.
Non conosco neppure il sospetto di chi guarda dentro il proprio piatto: il senso di colpa per ogni boccone che si mastica. Il colesterolo. L'ipertensione. L'obesità, forse. Calcolare a mente quante ore di ginnastica saranno necessarie per ristabilire l'ordine calorico del proprio organismo.
Ora mi fermo, però: tampono col tovagliolo il bordo del labbro, e mi metto ad ascoltare, che questa visione del mondo mi giunge nuova.
Caro Dottore, mi sono sempre ritrovata una testa piuttosto ingombrante.
Non tanto per la mia intelligenza, per l'amor del cielo, che è quella che è..
Non mediocre, ma neanche eccellente.
Una carriera scolastica proseguita senza intoppi, con soddisfazione sia personale, sia da parte dei miei genitori, che volevano sì il "pezzo di carta" per me, ma sono anche sempre stati piuttosto preoccupati che fossi felice di ottenerlo, e che non mi costasse troppo sacrificio.
Ecco: questo proprio no!
Il sacrificio era ampiamente sopportabile perché il mio cervello ha sempre avuto fame.
Fame di capire. Fame di sapere.
Il libro non è mai stato una montagna da scalare. Una maratona per gli occhi.
Il libro era un piacere, ritagliato per me. Il fatto di sprofondare per qualche ora in un altro mondo, e perdermi nei suoni delle parole, evocare i luoghi e le storie fuori dalle pagine e davanti ai miei occhi.
Ho sperimentato la tristezza per aver terminato molti testi. Pregando che, per uno strano incantesimo, le pagine si moltiplicassero verso la fine, per non lasciarmi orfana di certe sensazioni.
Ho percorso alcuni libri più volte. Molte volte. Per intero, o assaggiando pagine in maniera sia casuale, sia mirata.
Pochi libri sono stampati per intero dentro di me. Ne porto i segni addosso, e sono parte della mia persona, completamente metabolizzati.
Ma neppure una volta mi ha sfiorato l'idea che questa passione potesse andare a scapito del mio corpo.
Quello che ho visto in te, è che questa cosa è possibile.
Ed io non me ne sono neppure mai resa conto.
Ti ho riconosciuto. Questa testa fuori dall'ordinario, che funziona come un meccanismo pregiato.
Ti ammiro. Avrai la possibilità di visitare luoghi del pensiero che io non potrò neppure immaginarmi lontanamente; andrai a scoprire regole e ragionamenti mai percorsi da nessun altro prima di te.
Ma non ti invidio.
Ho visto quanto distacco c'è tra il tuo cervello prodigioso ed il tuo corpo.
Trascurato, per tanto, troppo tempo.
Il corpo non è una potenziale minaccia, da tenere monitorato per scoprire quanto prima possibile le trappole che ci vuole tendere. Il corpo va ascoltato, ma non con uno stetoscopio.
Il corpo non va usato solo per aggiustarne le pulsazioni, o per aumentarne la resistenza, o per resistere alle intemperie ed alla corruzione della malattia.
Che il corpo sia anche uno strumento di piacere, l'ho sempre saputo.
Ma è una sensazione continua che va coltivata, coccolata, riconosciuta giorno per giorno. E' il motivo per cui cucino pollo ai cuori di carciofo e profumo di agrumi anche quando sono da sola. E' il motivo per cui non mi dimentico mai di aggiungere essenze ai miei bagni caldi. O scelgo con cura il disco da ascoltare appena rientro a casa la sera.
E non è un risultato da raggiungere attraverso formule scientifiche precise, o "giochetti" e trucchi, pensati in astratto e mai interiorizzati.
Mi piange il cuore vedere quanta distanza ci sia tra il mio modo di sentire la vita ed il tuo: ciò non significa che necessariamente uno dei due modi sia sbagliato e l'altro giusto.
Potrebbero essere tutti e due giusti, se tutti e due fossimo effettivamente felici.
Ma senza medicine.
Io non ho bisogno di medicine.
E tu neanche, probabilmente: perché, in realtà, credo che prendere medicine sia solo un altro modo per non ascoltarsi.
Il tuo corpo ti sta mandando dei messaggi. Il tuo cervello ti sta mandando dei messaggi. Puoi anche ignorare uno e l'altro.
Ma tu lo sai certamente meglio di me: non sempre curarsi significa guarire.