Informazioni personali

La mia foto
Spezzano, Modena, Italy
Inguaribilmente energetica, e contagiosa.

30 giugno, 2008

FRICO



Ho cominciato ad amare questa terra per diversi ottimi motivi..
Per Ennio, indubbiamente. Per il suo carattere mite ed irremovibile, dolce e granitico.
Per il verde delle foreste che precipita direttamente nel mare.
Per la musica medievale intonata in testa, passeggiando per le strade di Cividale.
Per il prosciutto di San Daniele.
Perché in ogni bar, quando ordini un caffè, ti guardano e ti chiedono, dopo una piccola esitazione: "Liscio?".
E ancora: perché possiedo l'unico paio di occhi scuri nel gruppo dove sto chiacchierando.
Per il latte che fa la schiuma.
Perché si salutano dicendo "Mandi!", sia quando si incontrano sia quando si allontanano.
Per il cartello fuori dal ristorante: "Attenzione: locale frequentato da rugbisti".
Perché l'unità di misura minima, per il vino, è il "taglio", dentro appositi bicchieri da osteria.
E per il Frico.
Ricetta che è una scusa per agglomerare i residui degli innumerevoli formaggi che girano tra queste tavole, provenienti dalle malghe. Anche di differente stagionatura.
Il formaggio va tagliato a dadini.
Le patate si pelano e si cuociono in acqua bollente senza arrivare a completa lessatura, anzi: direi meno della metà, di cottura.
Dopo bisogna tagliarle a fettine molto sottili.
In padella (antiaderente) si scioglie un po' di burro, per appassire una mezza cipolla insieme a sale e pepe (poco sale, soprattutto se ci sono a disposizione dei bei formaggi sostenuti e saporosi). E si uniscono le patate, finendo la cottura e schiacciando ben bene il tutto con una forchetta. In ultimo, i dadini di formaggio. L'abilità della cuoca, in questo caso, sarà quella di eliminare mano a mano l'eccesso di grasso traspirato dal formaggio e, soprattutto, individuare il momento esatto in cui il formaggio, sotto, avrà formato una sottile crosticina, per girare il disco senza arrivare a ustione completa.
Il "Frico" è (apparentemente) semplice, e buono da impazzire.
E paradossalmente, dopo un fine settimana di mangiate clamorose, le padrone di casa hanno avuto anche l'idea di chiedermi di organizzare una serata per piegare i tortellini: per insegnare alle "frutis" friulane la nobile e antica arte della pasta sfoglia e dell'"Ombelico di Venere"!..
Fa ridere, quindi vale.

26 giugno, 2008

DOLCEZZA



C'è un paese meraviglioso dove la Focaccina è una ragazza dolcissima, con gli occhi da cerbiatta ed il placcaggio che spezza le gambe.
Ci si arriva a fatica, in questo paese, soprattutto se tutte le persone a cui domandi ti danno una strada diversa da percorrere.
Va a finire che siamo sempre, immancabilmente in ritardo.. e dico sempre, ma in realtà io e il mio Friulano stiamo insieme da poco. Ma ci prendiamo già amabilmente per i fondelli, quindi vale!
Alla fine, la salvezza ha le sembianze di una Panda rossa, che ci guida sulla retta via. In questo paese meraviglioso, dove ci sono 40° all'ombra, sul campo da gioco le pozzanghere si fanno apposta, con grandi mastellate d'acqua riversate a bella posta, come un tranello, come una palude in mezzo al deserto. E perché poi? Boh... ma non ha tanta importanza: l'importante è che qualcuno ci finisca dentro, e ci sia rivoltato per bene, come una bella cotoletta, impanata di fango denso e verdastro, di quello che non viene via neanche col flessibile!
I personaggi di questo paese meraviglioso sono già tutti lì, e salutano festosamente l'arrivo della Pallina carica dell'impianto, chi con un rutto, chi con una cordiale grattata di panza, chi continuando a fare quello che faceva prima: per lo più, niente..
Studio la fauna locale: la maggior parte non li conosco. O meglio: li conosco, ma non so chi siano. Magari ci parliamo tutti i giorni, ma ci dobbiamo presentare, con tanto di stretta di mano ufficiale. Beh, la stretta di mano si trasforma in un abbraccio, il più delle volte: "Ciao sono Orso(romano)!", "Ciao sono Parabrezza!", "Ciao sono Cookie!"... E uno gli vien da dire: ma che nomi c'hanno, questi qui? Sono il popolo di rugby.it. Che ogni anno si raccoglie in questo paese meraviglioso, che non è proprio Bologna: potrebbe essere una bolla separata dalla terra. Potrebbe essere su un altro pianeta. E un altro posto così non c'è.
L'unico a cui non ho bisogno di chiedere il nome è Radagast: perché lo riconosco per emanazione di autorevolezza.
Poi ci sono gli amici ritrovati. Mai come ora sono felice che siano tutti qui, e tutti insieme: la Robbb, l'Aliena, gli Orsi (udinesi), lo Zio Muggs, Billie, VecchioUbo (con cui avevamo messaggiato poco prima, e con cui avevamo coniato il termine "Migrazione dei Somari", vecchio gruppo beat degli anni '60), Esse, la Lucy. E le mie Foxies, Lucio, Marchigno, anche loro messi in mezzo senza tanti complimenti al frullatore di Bologna 2008.
Mentre sono impegnata nelle presentazioni, che proprio presentazioni non sono, mi arrivano tre birre, una fetta di soppressa, un gelato, mi giro un attimo e l'impianto da disc jockey è miracolosamente già montato. Hai visto come funziona, qui il sostegno?
Le note risuonano, sul campo. E arriva questo personaggio uscito dalla matita di Walt Disney, che suona la chitarra e i baffi. E quest'altro che prende a testate la cassa, quando parte Baba O'Riley. E itsonlirochenrolbatailaichit! E una coppia meravigliosa di neo-sposini. E una coppia altrettanto meravigliosa di sposini, ma già anniversariati, che mi dispensano saggezza sui rapporti a distanza. E un papà che mi chiede se ho un pezzo dello Zecchino D'Oro per il suo pupo. E una versione più sbaraccona, emigrata in Germania, di Alessandro Bergonzoni.
La partita c'è stata. E non è stata neanche uno scherzo, anzi.. pareva infinita, in questo caldo pazzesco. Ma dura e leggera contemporaneamente. Fianco a fianco, una leggenda del rugby italiano, ragazze belle cariche, giocatori in erba, giocatori d'esperienza (va là... risparmiamo pietosamente le virgolette), giocatori solo per un giorno all'anno. Bambini a bordo campo, con le mamme che improvvisano cambi volanti (di pannolino). Cambi di giocatori che sono mancati, invece, perché chi deve sostituire si è andato a prendere una birra.
Cala il sole su questo paese meraviglioso. Mentre i guerrieri alzano le forchette ed i calici. Una partita dell'Italia contro i Campioni del Mondo, vista in differita (eh, al pomeriggio, la precedenza l'aveva la NOSTRA partita: l'eterna disfida tra il bene ed il male, tra i Bianchi ed i Neri, giorno e notte, uomo e donna, Harp o Guinness, Traminer o Nero d'Avola) e sentita dall'impianto da disc jockey, l'ultimo giro di cocktail servito dal mio vice dj, per farsi perdonare del volume allucinante tenuto durante il suo turno in consolle.
Brindiamo alla vita. Brindiamo alla gnocca, ma per favore: abbiate pietà del mio Capitano, che mostra una curiosa forma di intolleranza e un grande attaccamento alle tradizioni (visto che il suo malessere annuale pare essere una delle poche certezza di questo paese meraviglioso!).
Si leva il sole del secondo giorno, per i reduci che ancora non hanno raggiunto i loro paesi d'origine: e, chiaramente, la coppia friulo-emiliana deve essere richiamata all'ordine con colpo di clacson, per poter assistere agli ultimi saluti.. Siate indulgenti, nei confronti dell'entusiasmo di un giovane amore! Proud to be Furlane Inside..
(è un post un po' settario: me ne rendo conto.. comprensibile solo ai presenti! Chiedo venia agli altri lettori, anche per la mancanza di ricette: ma stavolta, la cuoca non ero io... ed è una fortuna che ci siano stati altri cuochi: dio li benedica!)
LEONARD BERNSTEIN!

23 giugno, 2008

CREMA FRITTA


"Ricorda: il segreto sta nelle proporzioni, che se ti sbagli, o ci vengono i grumi o non viene buona!"
Gioia e delizia, semplice e immancabile. La crema di latte.
Una bella terrina capiente.
Quattro cucchiai di farina, quattro cucchiai di zucchero. Comincia subito a mescolare zucchero e farina, per scongiurare il pericolo-grumi fin dall'inizio. Un uovo. E mescola ancora, in mezzo al vulcanetto fatto con la farina e lo zucchero, fino a che l'uovo sarà denso denso e non più mescolabile. E ora ci va il latte, piano piano, sempre in mezzo al vulcanetto. Fino a che il composto non è bello omogeneo e vellutato.
Poi si cuoce, a fuoco bassissimo. Mentre la Lara lecca la terrina con le dita. Ma questo non fa parte della ricetta, confesso. Anzi, invece di leccare la terrina con le dita, dovrei stare attenta a non far attaccare la crema al pentolino, che mi càpita un po' troppo spesso per essere una brava cuoca.. Cos'altro? Ah, bisogna mescolare sempre nello stesso verso. Non so perché: non sono abituata a mettere in discussione quello che mi dice mia nonna in cucina. Si fa così, e basta.
Quando la crema è bella addensata, e comincia a fare gli occhietti della bollitura, si lascia lì sul fuoco per altri tre minuti, e si spiatta in un contenitore di porcellana, facendo uno strato di circa tre centimetri.
E' necessario resistere alla tentazione di mangiare la crema calda, perché ha un forte potere... ehm... va beh, ci siamo capiti.
Quando la crema si è raffreddata, la si taglia a dadini, e i dadini si passano nella farina, nell'uovo e nel pan grattato. Poi si friggono, allegramente.
La crema fritta è una parte fondamentale del "fritto all'emiliana" (non date retta ai millantatori che lo chiamano "fritto alla bolognese", perché è basso campanilismo, del tutto immotivato), che si accompagna benissimo alla carne, i bolliti in particolare.
Si accompagna benissimo anche ad una bella serata bolognese prima dell'annuale raduno di rugby.it.. ma questa è un'altra storia ed, ora come ora, proprio non mi vengono le parole per raccontarla.
Ci vorrà qualche giorno.
Con un altro piatto d'accompagnamento..

16 giugno, 2008

NON SARA' MICA UN PROBLEMA?



Il miglior risveglio di sempre..
Sei lì, in pace con la vita, l'universo e tutto quanto, presa solo dalla meraviglia per la fortuna sfacciata che hai avuto, a capitare con una persona così incredibilmente giusta per te, la perfezione in una tenda piantata a mille anni luce dalla terra. E non importa se intorno ci sono persone che parlano, ridono, schiamazzano, "Chiamate i Carabinieri!", e la Cannavaro con le caraffe di vino, e gli inglesi, i Monaci (nel senso di Monaco di Baviera), e bevilabevilabevila-tuttad'unfià!, e il freddo di una metà giugno molto anomala, e questa pioggia che non smette di scendere incessantemente... "Lara...", sottovoce, dopo un volo lontano lontano, e un addormentarsi dolce come un letargo tra le braccia più amate del mondo.
La mattina si insinua lentamente nel bozzolo caldo di questo miracolo appena nato.
E come si dice: la fortuna è cieca, ma la sfiga ci vede benissimo.
Avevo messo il telefono silenzioso, perché nulla turbasse i nostri sogni, ma sul telefono rimaneva la traccia di innumerevoli chiamate, già a partire dalle due di notte. Agghiacciante.. Mi metto in contatto con l'ultimo numero della lista, a caso. Non so neppure chi fosse: un vicino di casa, il papà, Luca... Non me lo ricordo, ecchissenefrega.
Durante la notte, l'innocuo torrente Fossa (un rigagnolo, un rio piccolo piccolo, a cui non è stato neppure la parvenza di un nome serio) si è preso la sua rivincita: durante la notte ha sfondato l'argine di contenimento ed ha inondato di fango mezzo Spezzano.
In questo mezzo Spezzano è compreso anche il mio studio, sommerso da una colata marrone alta due palmi.
Cerco di mettere a fuoco la situazione.
Da una parte ho:
- il mio uomo sdraiato (che mi guarda allarmato da sopra il cuscino, e non capisce, ma vede solo il terrore nei miei occhi!).
- le mie bimbe, la squadra, che durante la mattinata dovranno affrontare, per la prima volta sulla sabbia, avversari conosciuti (la Benetton, le Fighters..) e straniere sconosciute (una squadra di vitelle scozzesi incontrate il pomeriggio prima, nella quale io sarei stata la nanerottola del gruppo).
- un fine settimana sul mare di Bibione.
- il fratello del mio uomo, che viene apposta dall'altra parte del mondo per potermi conoscere.
- festa sulla spiaggia, ettolitri di Spritz e birra.
Dall'altra parte, invece, ho:
- tutto il lavoro di quattro anni di onesta libera professione sotto due palmi di fango.
Formulo nel cervello la più brutta imprecazione che riesco a mettere insieme dopo trent'anni di esperienza: mi sento come Benigni in "Berlinguer, ti voglio bene", mentre torna a casa dopo che gli hanno detto che la sua mamma era morta.
Ennio mi lascia una sua maglietta come portafortuna. Raccolgo borsone e carabattole dalla tenda, raccomando le bimbe alla Jennifer e ad Alex, giro la macchina e punto verso il piano padano inondato di fango, per fare 300 chilometri alla velocità della luce.
La prima reazione, entrata nel cuore del disastro dello studio, è razionale e consapevole: mi siedo su una poltrona della sala d'aspetto, e piango.
Poi mi tiro via le scarpe, lego i capelli a coda di cavallo, e comincio a spalare chili e chili di fango.
Sui muri, sui fascicoli, sulle prese di corrente, sul computer portatile.
Il fango si è insinuato in ogni interstizio, e già comincia ad indurursi. Non finisce mai. E più se ne toglie, più esce da ogni dove.
Quattro ore.
Quattro ore di lavoro matto e disperato.
E mi torno a sedere sulla poltrona di prima.
Il campo di battaglia è sgombero, le pratiche sono stese sui fili come biancheria dopo un bucato.
E' presto per fare la conta dei danni. E il cielo non accenna a schiarire.
Lavo via il fango dalle mani, da sotto le unghie.
Giro la macchina dall'altra parte, e mi accingo a fare a ritroso di nuovo quei 300 chilometri: c'è un uomo che mi aspetta (e anche suo fratello) e ci sono delle partite da giocare.
Mi attacco al telefono per sentire la cronaca della giornata: le Foxies cedono il passo alle Red Panthers, alle Fighters ed alle inglesi.. Coraggio, bimbe: sto arrivando.
Entro nell'arena del beach rugby di corsa. Mi spoglio davanti a duecento rugbysti che ululano, ma non me ne frega niente: ho una maglia da indossare e un paradenti nero in una tasca della minigonna.
Giochiamo l'ultima partita della giornata contro l'Asti. Che bello essere qui, in cerchio, con le mie bimbe, ancora trafelata per la corsa dal parcheggio, ed Ennio che cerca di raccogliere la mia roba che ho sparpagliato lungo il tragitto.
Mi sento come il fiume che è straripato a Spezzano: tutta la rabbia raccolta dalla mattina, insieme a tutte le sbadilate di fango, si riversano in questa ultima partita della giornata.
E gli argini cedono: quattro mete.. Inarrestabile. Mi tolgo anche la soddisfazione di volare in tuffo oltre la linea di meta, ed atterrare in paradiso di pancia.
La serata è placida, dopo la tempesta.
Ennio mi raccoglie dal casino della discoteca, e mi porta sull'ultimo lettino della spiaggia prima delle onde, a guardare la luna. Gli echi dei battiti danzerecci arrivano attutiti, e di nuovo ci godiamo il piacere di ritrovarci da soli.
Mi porto a casa anche questa trovata, così semplice e geniale: il disco di pasta della pizza è riempito con mozzarella, funghi e ricotta. Lo si arrotola come un giornale, avendo cura di sigillare i bordi onde evitare fuoriuscite indesiderate di fang... pardon, ripieno. Infornata come una pizza, a cottura ultimata la si adagia su un lettino di rucola, ricoprendo con una copertina di prosciutto crudo. Molto estiva e sfiziosa. Tenendo conto anche del rilevante fatto che ce la mangiamo in compagnia delle rondini: hanno nidificato sotto il tendone del ristorante, ci svolazzano sulle teste, e si appoggiano sulle pale spente dei ventilatori, per curiosare quello che abbiamo nel piatto.
Il resto è storia: le Foxies conquistano il loro primo podio, con il terzo posto assoluto della tappa di beach rugby, mettendo a segno anche una vittoria gloriosa contro la squadra scozzese, nella finale per il terzo e quarto posto.
Gli ultimi 300 chilometri per tornare a casa sono fatti ad inerzia: braccia intorpidite e sabbia nelle orecchie. Testa lasciata a Bibione, negli occhi azzurri di un uomo di rugby che mi ha preso il cuore.

12 giugno, 2008

SEPARARE



Non sono mai riuscita a separare bene l'albume e il tuorlo dell'uovo.
Lo confesso.
Per lo zabaione, in cui è importantissimo che non trapeli neppure un po' di bianco. Perché si sente, nonostante lo zucchero tenda a coprire un po' il misfatto: sbattere il tutto furiosamente, fino a che la spuma gialla schiarisca, non serve quasi a nulla.
Il marchio della vergogna della cuoca rimarrà indelebile alle papille.
Separare le altre persone è facile.
Arriva in studio una piccola donna che tortura nervosamente la tracolla della borsa. Una piccola donna che si è pettinata con cura, prima di venire dall'avvocato. Una piccola donna che non sa dove cominciare: come si fa a parlare ad una perfetta estranea del dolore di un matrimonio finito?
E con il passare dei minuti, la tracolla della borsa è attorcigliata come un serpente. L'imbarazzo trascolora in rabbia trattenuta per troppo tempo. La piccola donna vorrebbe essere davanti al suo futuro ex marito per dirgliene (o dargliene) quattro.
Le separazioni, invece, diventano più problematiche quanto più vicino arrivano a toccarci.
Ieri sera il trillo del telefono mi fa fare la conoscenza con il figlio del mio ex marito: una foto, fuori fuoco, e tra le braccia di quell'uomo c'è un uomo piccolissimo, con gli occhi chiusi, tutto infagottato nel suo corpo nuovo nuovo, con cui dovrà fare conoscenza e con cui dovrà vivere tutta una vita.
Il corpo dell'uomo grande sembra la custodia del corpo piccolo piccolo. Vengono uno dall'altro, come tuorlo e albume. E un giorno si separeranno, quando quelle gambe riusciranno a camminare lontano da sole.
Cancello la foto sul telefono, consapevole di quanto la mia separazione sia diventata veramente siderale.
Per quanto dolorosa appaia sul momento, la separazione generalmente è un bene: guai alle persone che dovrebbero essere unite, e invece sono separate senza saperlo. Pur vivendo nella stessa tana, pur dormendo tra le stesse lenzuola. E mi vien da abbracciare questa ragazza solare e bellissima, ferita nei propri sentimenti da un uomo che l'ha illusa, e non la merita. Non la conosco, non so la sua storia. Ma l'ho bersagliata di uno dei miei slanci istintivi di affetto, e credo di non aver lasciato cadere un bel gesto nel vuoto.
E c'è quest'altra separazione, con cui ho a che fare.
Una separazione fisica, non voluta. Una lontananza di luoghi che, in alcuni momenti, diventa dolorosa, per la voglia di una persona. Di averla vicino, di toccarla, di sapere che non è tutto un sogno, ma che sta succedendo davvero.
Quanto poco basta per essere felici! Quanto poco basta per insinuare un dubbio o una paura! Quando gli occhi non si specchiano a vicenda, e bisogna interpretare, immaginare, ipotizzare.
Una separazione tutta tesa al prossimo ritrovarsi. Una separazione che non è una separazione: è una sospensione accidentale della fusione tra due vite.

09 giugno, 2008

GNOCCO STRAPPATO



In buon italiano si dovrebbe dire LO gnocco.
Ma se qualcuno dice LO gnocco, e non il gnocco, vuol dire che quel qualcuno non è modenese.
Il gnocco fritto è il pasto dei contadini.
Si alzavano molto presto, un tempo. Alle quattro di mattina, per governare il bestiame e per il lavoro sui campi, con le pendenze clementi dell'Appennino Modenese. L'erba dei prati ancora madida di guazza notturna, o le rade sterpi cristallizzate di ghiaccio scintillante. Scarponi sformati. Lunghe falci da ripassare con una pietra riposta nella cintura, per essere affilate. Cappelli di paglia da cui scendeva copioso un sudore acre di fatica.
Alla mattina alle sette, quando il sole cominciava a scaldare la terra, già erano trascorse dure ore di lavoro: quelle più produttive, perché graziate dal caldo, dagli insetti e dall'umidità feroce che sale dalla pianura padana. Era allora che si faceva colazione: ceste di gnocco fritto, portate dalle donne. La pasta del gnocco viene tirata con il mattarello, in larghi lenzuoli di sfoglia. Tagliata a rombi con una rondella frastagliata, che lascia il bordo del lembo a zig zag. Tuffati i pezzi di gnocco nell'olio bollente, o nello strutto, si gonfiano come palloncini, e vanno girati rapidamente, con un cucchiaione di legno, perché in un intervallo molto breve il gnocco si può bruciare. Bello il momento in cui la pasta esplode in tutta la sua pienezza.
Buono il gnocco caldo dopo. Con i salumi. O con la marmellata di amarene.
Ora il gnocco non si mangia più nei campi. Ma i pochi bar di Modena che alla mattina friggono gnocco e lo servono caldo per colazione sono sempre stipati di gente in fila, pronti a prendere l'ultimo pezzo di gnocco ancora bollente.
Mi piace osservare il viso di chi mangia gnocco per la prima volta, venendo fuori da Modena.
Il viso in questione, poi, mi era particolarmente caro. E mi sono saziata di riflesso del gusto con cui pescava a piene mani nei ciccioli, nel lardo, nel salame morbido e profumato.
Pioggia battente, in stazione a Bologna. Ho con me un ombrello largo, che possa tenere tutti e due coperti. Scende per ultimo dal treno, proprio dal portello in cui mi ero fermata per aspettarlo, con la maglia degli Springboks e gli occhi luminosi.
Nell'attimo in cui mi lancio verso di lui per abbracciarlo e baciarlo, un mariuolo ne approfitta per fregare l'ombrello: c'è sempre qualcuno disposto ad approfittarsi della felicità altrui.
Ma chi se ne frega: a questo punto posso anche permettermi di passare tutti i semafori di Bologna col rosso. Sono felice, sono un fiume di parole in piena, mentre l'emozione appanna dal di dentro i vetri della macchina.
Ho un vestito carino. Ho i tacchi alti. Volevo essere bellissima per lui.
E il tempo va un po' a farsi benedire. Si ripete quella stortura, già avvertita fin dalle prime volte in cui stavamo insieme, per cui molte ore si condensano in cinque minuti.
Domenica ho ricevuto un ulteriore regalo della vita, l'ultimo in ordine di tempo.
L'emozione unica di giocare una partita insieme con il mio uomo.
Mentre le altre ragazze il loro uomo lo avevano di fronte (era lo scontro interno tutto formiginese tra le Foxy Ladies e la Serie C maschile), pilone contro pilona, mediano contro mediana, io lo avevo al mio fianco. Con il batticuore tutte le volte che andava ad impattare. Con la percezione fisica della sua rabbia tutte le volte che gli avversari impattavano me.
Alla fine della partita ci siamo ritrovati distesi sull'erba, a bordo campo. Io gli bagnavo i polsi e le tempie con acqua fresca. Senza parlare. Io tutta scarmigliata e rossa in viso. Lui in un bagno di sudore. Ma me lo sentivo troppo nostro, quel momento. Siamo andati insieme verso gli spogliatoi, ed era mezzo un abbraccio e mezzo un allacciamento di ingaggio, non si capiva tanto bene.
Quando il treno è ripartito, la sera stessa, verso il profondo nord, sono rimasta sul binario a guardare l'ultimo vagone sparire alla mia vista. Tanto belli i treni quando arrivano, tanto brutti quando si allontanano. Banale? Forse.
Ho abbassato la visiera del cappellino del Galles, mi sono messa le mani in tasca e sono andata a rifugiarmi nell'abbraccio rassicurante dell'Olga.

03 giugno, 2008

PANE TOSTATO


Un anno di emozioni nuove, che arrivano come regali meravigliosi.
Grazie a tutte le mie sorelline, e a tutte le sorelle delle altre squadre.
Ce ne sono tante, di immagini da portare nel cuore.
E mi dimenticherò sicuramente qualcosa, perché non ho ancora fatto in tempo a far depositare tutto quello che è successo.
Le Pantere Rosse al gran completo.
La Giorgia e la Tilde.
La Lina.
L'Annalisa e le sue stampelle.
La Principessa.
Rama.
La Lucy e Ubo, meravigliosi tifosi.
Tutte le vicentine, e la gara a chi urla più forte.
E Mauro, che ci ha strizzati come un panino con un abbraccione.
Argos con le mutande rosse.
L'Olga e il suo richiamo durante la corsa folle.
La mia mamma che mi aspetta sulla linea di meta, urlando perché io corra più forte.
E Stefano, e la Ninni, e la gioia che mi date.
E il pallone che vola in mezzo ai pali.
La Serenella con il tutù e la parrucca rosa.
E il cuore pieno come non mi succedeva da un sacco di tempo.
La doccia più lunga dell'anno.
E..
"Ciao, Lara".
Si spalancano gli universi, con le rivelazioni più semplici.
Come l'odore di una pelle.