Scena da un tardo pomeriggio, nel garage di una ragazza del rione.
Le tapparelle alle finestre sono abbassate, per dare idea di aver lasciato fuori tutto il mondo, in particolare quello degli adulti.
Le sedie sono spostate ai lati. Gli attrezzi da giardino sono coperti con carta crespa colorata, pazientemente distesa con le dita, alle estremità, per ottenere delle frappe. Uno stereo scalcinato fa girare cassette, ma la musica è considerata relativamente. Riscuotono più successo il tavolo delle torte e le cocacole.
Io avevo una predilezione per le frittelle di mele.
Vanno grattugiate tre mele (due dolci, una più pungente). 3 uova, di cui separare albume e tuorlo (e di nuovo la mia maledizione dell'albume montato a neve.. mannaggia!). Ai tuorli, invece, vanno aggiunti due bicchieri di farina, lievito per dolci, zucchero vanigliato, sale e un bicchiere di latte. Magari anche un po' di cannella. Ora va amalgamato il tutto, con una passata di frullatore. Dopo si aggiunge altro latte, fino ad ottenere un composto denso ma fluente (eh eh eh.. la cucina è fatta anche di equilibrio di contraddizioni). Incorporare i bianchi montati a neve, con un cucchiaio grande di legno e con grazia. Infine vanno aggiunte le mele grattugiate. Scaldare abbondante olio in una padella, e farci gocciolare dentro ampie cucchiaiate di composto, fino ad ottenere frittelle grandi come un "ok" fatto con pollice ed indice. Spolverare con zucchero a velo e servire possibilmente calde.
Ok.. Ora sei pronta. Ricorda di pulirti ancora la bocca dai residui di zucchero a velo, che non sta bene. Sono iniziati i lenti. Alcuni sparvieri della pista sono già planati sulle prede, con fare sicuro e sorriso disarmante. Ma la maggior parte dei ragazzi se ne sta ancora in disparte, facendo finta di non aver sentito il segnale inequivocabile, torturando bicchieri plastica ormai vuoti.
E' tutta la settimana che ci pensi.
Ti sei prioettata il film nella testa, per rassicurarti e per sognare, un milione di volte.
Ora senti le orecchie che vibrano e le guance in fiamme. Chissà se ha notato, i tuoi occhioni che lo seguivano da sotto il mascara maldestramente sparso in grossi calcinacci sopra le ciglia. Probabilmente no. O forse sì, ma il risultato non cambia.
Ti avvicini, camminando con grazia e sospinta dalle pedate delle tue amiche molto discrete.
Arrivi lì da lui a un palmo, sorridendo, e ancora lui finge di non averti notato, insistendo in una conversazione inesistente con il suo amico del cuore.
"Balliamo?".
Sospira, come se gli costasse uno sforzo immane scostarsi da quella parete e appoggiare al tavolo il bicchiere di cocacola. Ma dentro di sè esulta e salta fino al soffitto.. SI' SI' SIIIIIII'...
Allunga le mani sui tuoi fianchi, ma con la parte alta del corpo scosta indietro la testa, tradendo inequivocabilmente che ha paura. Che non sa bene cos'è quel tumulto. Che pare bello, ma che cavolo sta succedendo?
La musica si spegne, per noi.
Il mondo comincia a girare, sotto i nostri piedi. E noi partiamo, in questa terra sconosciuta, tenendoci per mano, più per non perderci, che per stare vicino.
E' l'odore di un dopobarba messo senza essersi rasato. E' la civetteria del primo reggiseno. Sono le telefonate interminabili del pomeriggio, per infiocchettare quel ballo con le amiche. Sono i cuori sui diari. E' il poster di Sandy Marton. E' la preghiera che tua madre non ti veda. E' quel modo buffo di tenere la testa sotto il casco, come se pesasse un quintale, svolazzando beato su una Vespa azzurra.
Non so come ci si riesca, ma si sopravvive anche a questo: alla gioia che ti fa esplodere gli occhi, ed al terrore puro subito dopo, quello che ti fa venire il bisogno di stare sdraiata bocconi a terra, sul prato, per respirare l'odore della terra, per tenerti attaccata alla vita senza tutta quella paura.
E la vita va avanti lo stesso, nonostante tutta quella paura.