E' già tardi, per pranzare: nei tavoli vicino, tutti hanno già allungato le gambe e conversano amabilmente con in mano la tazzina di caffè. Siamo qui, io e il Gigante: lui non si prende neanche la briga di sfilarsi dal giaccone. Io appoggio a lato della sedia la borsa delle carte, la mia borsetta e la toga floscia. Siamo dentro l'aula dalla mattina. Testimoni, domande, dubbi, botta e risposta, trappole, strategia, levate di voce improvvise, il viso smunto della mia cliente, che aveva attraversato l'Italia nella notte, per venire ad assistere al processo.
E' giovane, la mia cliente: è diffidente come una bestiolina selvatica.
Incontra oggi in un'aula di tribunale il suo ex datore di lavoro, che l'aveva illusa con la speranza del posto fisso, se l'era spupazzata contro la sua volontà e, dopo la sua resistenza, l'aveva licenziata.
Scrivo frenetica su fogli improvvisati. Non come adesso, sulla tastiera, che pondero bene le parole e le scelgo con cura. Lampi di idea che vengono subito fissati con l'inchiostro, che se non scrivi, hai perso: e loro stanno già parlando di altro.
La pausa pranzo è una bolla d'aria in mezzo al processo. Davanti al tribunale ci sono dei tizi coi rasta che protestano contro il C.T.P. C'è un freddo cane, ragazzi: ma non vedete che non vi ascolta nessuno? Uno di loro scaravolta sul marciapiede il suo amico, e gli sfila i pantaloni. Sotto i jeans larghissimi, che non oppongono resistenza, ci sono i pantaloni del pigiama.
Arriva il Gigante, discreto come un angelo custode.
Si becca tutta la mia tremenda sfuriata, sui testimoni che non azzeccano gli orari. Fulgido esempio di perfettinismo del cazzo, del quale sono una campionessa, ma anche bell'esempio di spaccamaroni che non sono altro!
Le pennette sono amare. Ci vuole una bella abilità per addomesticare il sapore del radicchio: oggi, in cucina, non ci sono riusciti. Ho anche preso un bicchiere di vino: lo so che non si beve, in servizio, e infatti mi tingo appena le labbra e passo l'ampio bicchiere nelle mani del Gigante, che beve il premio di consolazione.
Finita la bolla d'aria: si rimette in moto la potente macchina giudiziaria. Fino a sera. Il Collegio si ritira per deliberare. Il mio esimio collega difensore dell'imputato mi terrorizza a buona posta: "Quando ci mettono tanto, è perché stanno diminuendo la pena. Se sono convinti della colpevolezza, fanno presto e scrivono subito la sentenza. Ma quando si attardano.. beh..", e mi guarda con condiscendenza. Scaccio il pensiero infastidita: guardo verso il viso smunto e sua nipote. La nipote, che era venuta con lei quale dama di compagnia, si è appallottolata la giacca a vento e la usa come cuscino, per dormire sulle panche del tribunale. Scampanellio. Frusciano le toghe dei giudici mentre rientrano.
... responsabile dei reati ascrittigli.
Il viso smunto mi chiede: "Abbiamo vinto?".
Sì.