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La mia foto
Spezzano, Modena, Italy
Inguaribilmente energetica, e contagiosa.

24 giugno, 2009

NIDO

 
Uno sfarfallio d'ali, appena entrata in casa.
Da dove?
Mi ricordo, da piccola, che quel suono significava trovare un uccellino incastrato nella cappa, e che bisognava raccattarlo, sporco e impaurito, tirando fuori un cassetto di metallo incastonato nel muro, giù in lavanderia.
Quindi, memore dei passati soccorsi, mando Ennio a prendere una scatola da scarpe.
Il rumore veniva dal camino. Sopra? O sotto?
Pare di sotto, nell'anfratto dove si raccoglie la cenere.
Pensa te: un uccellino si è avventurato lungo il tubo che raccoglie l'aria per far respirare il fuoco, ed è arrivato fin dentro casa. Ma lo sfarfallio d'ali termina subito. Che l'uccellino abbia trovato subito l'uscita?
Alzo con cautela la grata, ed è lì.
Il nido.
Con cinque uova azzurrine già deposte all'interno.
Dentro al camino.
Dentro casa.
Ricopriamo tutto con cura.
Speriamo che l'uccellino non si sia spaventato, e che torni a covare i cinque ovetti azzurrini.
Coraggio: torna pure senza paura.
Che in questa casa ci sarà sempre da mangiare per tutti..

10 giugno, 2009

E UN ALTRO GIORNO E' ANDATO, LA SUA MUSICA HA FINITO, QUANTO TEMPO E' GIA' PASSATO E PASSERA'


E' successo proprio quando non ci stavo pensando.

In un momento banale, quotidiano, distratto come il gesto di sorseggiare il primo caffè pomeridiano.

Mio padre che indovina il mio sguardo assente, quello sguardo che non ha riconosciuto chi avrebbe dovuto conoscere: "E' la figlia di Piero e Paola".
Guardo di nuovo, senza passare attraverso i lineamenti del viso che mi sorride di fronte. Dietro il bancone, la ragazza che mi ha appena servito il caffè, è lei.
Era una bambina di 5 anni, petulante come sanno essere le bambine di 5 anni che nessuno considera, quando vogliono giocare.

E mi prende la vertigine.

Per quel pensiero che affiora senza volere. Per quella frase che ho sempre sentito dirmi da altre persone, e che non ho mai detto.

"Quanto sei cresciuta! Eri piccola così..."

E' una frase da vecchi. L'ho sempre pensato, mascherandomi dietro il sorriso radioso da ex bambina, sorriso largo e appagante per chi mi aveva appena parlato.

Ed ho pensato alla differenza tra la foto sulla patente e quella appena fatta, imbarazzata, per la carta d'identità. Ho pensato a quella ruga tra la guancia e il labbro. Ho pensato alle cicatrici. Ho pensato alla figlia dell'Elena. Ho pensato a mio padre e ai suoi capelli candidi.

Ho pensato al dolce-mattonella.

Era quello che la mia scomparsa nonna reggiana tirava sempre fuori per ultimo, facendo finta di essersi dimenticata, per provocare la nostra fintissima sorpresa.

Ora sarebbe definita una bomba di colesterolo come poche. Allora, e forse lo è ancora, era il dolce più buono del mondo.

Si prepara una crema col burro (tanto per cominciare bene): tre parti di burro e due di zucchero a velo! Amalgamando con due tuorli d'uovo, risulta un composto micidiale, di quelli che se non si lecca la terrina col dito, è un crimine.. A parte si prepara il "pavimento" delle mattonelle: sono un tappetino di Oro Saiwa, bagnato con caffè mescolato al Sassolino (se vi state chiedendo cos'è, vuol dire che non siete modenesi/reggiani. Nulla di grave..). Dopo aver posato il primo strato di mattonelle, via con uno strato di crema di burro, e di nuovo le mattonelle, e di nuovo la crema al burro, e si chiude con un ultimo strato di mattonelle.

Da mettere in frigo.

Per servire, si tagliano fette usando gli Oro Saiwa come unità di misura. In pratica si mangia una mattonella per volta.

L'ho visto l'altra sera, dopo la cena di fine anno al campo.

Alla festa dell'Unità (... pardòn, del PD) la servono ancora al ristorante Sassuolo (ma finisce subito).

Un'altra stagione è andata. Con l'età divento malinconica, si vede..

O forse è solo che dovrei mangiare più spesso il dolce-mattonella.