Mannaggia.
Dopo aver girato tanto per trovare quella giusta, dopo aver corso tanto per uniformarne la sagoma al profilo esatto del piede.
Una forbice ha tagliato i lacci, e due mani caute l'hanno sfilata con delicatezza.
Una specie di Cenerentola al contrario.
E le stesse forbici hanno tagliato anche le calze. E la tuta aderente sporca di terra.
Sotto, il disastro.
La mia scarpetta giace dimenticata, vista l'urgenza di tutto il resto.
C'è stato un universo, in mezzo.
La corsa in ospedale, con l'infermiere che, girato di spalle, non vede il palo della luce del campo, e lo centra con la barella, irradiando il dolore dalla caviglia per tutto il corpo.
E' quell'urto che dissipa la nebbia: da quando ho percepito il crocco con l'orecchio, non ho sentito male. Ho sentito me stessa urlare, come una sirena d'allarme, continua, ma il suono non è arrivato come avrebbe dovuto: era come se udissi me stessa urlare in un'altra stanza.
Ho visto tutti i visi, ma non riuscivo a mettere i nomi al loro posto.
Mi mancavano i collegamenti in testa. Oltre ai collegamenti del piede, piegato in maniera così innaturale. Tutto è ripartito dopo, in differita. Dopo che il piede era già sparito sotto l'imbottitura d'emergenza, e il gesso.
Ho rivisto la mia caviglia solo prima dell'operazione, ed avevo già in corpo l'effetto spaesante del primo tranquillante che danno un attimo prima dell'anestesia: di nuovo quella sensazione così strana, di vedermi addosso qualcosa che non mi appartiene. Sembrava la custodia del mio vero piede, tanto era grande, livida e deforme.
E le spennellate giallastre di disinfettante, con le mie anche che, per colpa dell'epidurale, non capivano più con che angolazione erano piegate.
Ho visto l'operazione in televisione, con lo schermo girato amorevolmente verso di me dall'infermiera, i colori virati in bianco e nero come nelle scene troppo truculente di Kill Bill. Mi accorgevo di perdere sangue solo perché ogni tanto passava un dottore coi guanti sporchi di rosso.
Il Professore ascoltava la radio, durante l'operazione.
E' partita "Alive & Kicking" dei Simple Minds. Io scherzavo con lui, dalla mia parte del lenzuolo: "Difino, l'hai messa per me, questa?". E ridevo. E lui: "Stai ferma, che ti sto operando!...".
E così in queste giornate ho dovuto, di nuovo, aspettare che qualcuno cucinasse per me.
Stavolta è toccato ad Adriano, il fratello di Ennio.
Si prendono dei petti di pollo, e si ammollano bene bene con il batticarne.
E' consolante sentire quei bei tonfi sul tagliere, dal calduccio del pumone sul divano.
Si salano e si passano sulla farina.
Da rosolare nell'olio bollente. Una volta che saranno dorati, l'olio va tirato via dalla padella, e si scioglie una nocetta di burro. Poi, alla fine, si aggiunge il marsala, da sfumare.
Questo intingolo è paradisiaco per la scarpetta.
Non la mia, dimenticata senza lacci in un angolo dello spogliatoio.
Una scarpetta ben più allegra, a colpi di stampella sul dorso delle mani, se ti azzardi a prenderne un po' dal mio piatto..