Ricordo bene, la mia prima volta in tribunale.
Era una gita in terza elementare: la mia maestra Gaetana, la maestra piccola piccola dai capelli rossi e una permanente furiosa, aveva iniziato Giurisprudenza prima di dedicarsi all'insegnamento, e così ci siamo trovati a seguire un processo per omicidio colposo. Con gli occhi sgranati, e quei "grandi" dall'altra parte della balaustra, che portavano il grembiule nero come il nostro.
Il Pubblico Ministero aveva i capelli brizzolati e gli occhiali colorati, ed è rimasto in Procura a Modena per oltre 20 anni: proprio in tempo perché io facessi uno dei miei primi processi con lui. Gliel'ho confidato, alla fine della discussione, e lui sembrava sinceramente addolorato. "Ma come? Prima in gita alle elementari, poi ti ritrovo già avvocato?".
E' vero che già alle elementari avevo un'idea tutta mia, della giustizia: mi seccava parecchio vedere i bulletti da strapazzo che maltrattavano le bimbe, quelle piccoline, con le trecce sottili ed i maglioni pieni di pelucchi sui polsi esili.
Allora mettevo da parte il mio gnocchino avvolto nella carta oleosa del panettiere, quello farcito con il prosciutto cotto e la maionese (il mio preferito). Portavo il malcapitato sotto la scala che separava i due corridoi delle aule, lo rendevo inoffensivo immobilizzandogli mani e piedi scalcianti sotto la mia mole già imponente alle elementari, e gli davo una serie di scapaccioni sul testone spettinato. Lui cercava di divincolarsi, e i suoi amici che ridevano a crepapelle, lì protetti dalla scala, perché il disgraziato le stava prendendo da una femmina: ma non c'era via di scampo. Uscivo dal sottoscala solo leggermente arrossata sulle guance, e con un paio di ciuffi che scappavano fuori dal legaccio della treccia unica, sulla nuca. Senza scompormi più di tanto, tornavo al mio gnocchino da mangiare prima della fine della ricreazione, mentre la bimba dai polsi sottili, con gli occhi ancora gonfi per le lacrime appena asciugate, mi chiedeva se poteva uscire dall'aula, alla fine delle lezioni, prendendomi la mano.
Dopo la campanella, si usciva in fila a due a due, per poi sparpagliarci tra le braccia dei nostri genitori, ignari delle tragedie che si consumavano quotidianamente dentro quelle mura scolastiche.
Ora sono grande, e ho smesso di picchiare i bulletti da strapazzo.
Ma non sempre i peggiori stanno dentro le aule del tribunale!
Ieri stavo al telefono, con una perfetta sconosciuta che mi urlava nelle orecchie, e mi diceva che sono una prepotente e una maleducata. Avessi avuto un gnocchino al prosciutto, l'avrei messo da parte, da mangiare prima della fine della ricreazione. La violenza brutale che usciva dalla cornetta mi faceva venire voglia di portare la mia interlocutrice sotto le scale della scuola elementare. O forse era invece una bimba dai polsi esili, che approfittava della distanza per sfogare tutta la sua rabbia. Fatto sta che ha finito le parole, e dopo nulla più.
Tornando a casa, l'Omone, per scherzare, ha detto che il nostro bambino picchierà i bimbi più grandi.
E io: "Ma noo.. perché lo dovrebbe fare?"
Poi mi è venuto tutto in mente: la mia maestra piccolina, il sottoscala delle elementari, gli adulti in tribunale che litigavano con addosso il grembiule come il nostro..Leo, magari un sottoscala non è la soluzione migliore. Ma ha il pregio di semplificare. Tu, ad ogni buon conto, non picchiare nessuno (se non se lo merita).