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Spezzano, Modena, Italy
Inguaribilmente energetica, e contagiosa.

29 agosto, 2008

IL PRIMO SORSO DI BIRRA


Fammi un po' vedere..
Rimangono ancora i detriti fossili di terra, agli angoli del borsone, rintanati fin dall'anno scorso.
La terra sulla mia fida piazzola: non lavo neanche la macchina, figurarsi se mi metto a pulire la piazzola per i calci!
Le scarpe sì, anche se, per scaramanzia, non cambio i laccetti fino a quando non si rompono da soli, anche se sono già in condizioni pietose. Ennio mi ha fatto un gran bel regalo: un sacchetto di tacchetti di ricambio. Molto meglio di un mazzo di fiori, direi.
Pantaloncini dell'Udine Rugby (è una simpatica tradizione: le fidanzate di un giocatore, in allenamento, usano i pantaloncini della squadra del proprio uomo: Rovigo, Parma, Udine).
Calzettoni lisi in punta e sul tallone.
Maglietta scolorita.
Il nastro adesivo bianco ha raccattato dal fondo della tasca ogni cosa si potesse appiccicare: elastici per capelli, le linguette usate delle lenti a contatto, altro nastro adesivo, già usato e appallottolato. Insomma, un blob informe.
Paradenti: nero.. l'ho cambiato, dopo la finale del campionato. Ci ho fatto solo due o tre partite estive e, soprattutto, il raduno bolognese di rugby.it. Nei confronti del paradenti nuovo ho ancora la sensazione di corpo estraneo.
Asciugamanone.
Niente asciugacapelli, che è ancora caldo e mi posso permettere il lusso di uscire dagli spogliatoi con i capelli che stillano ancora gocce sulle spalle. Anzi, è una necessità, visto che lo spogliatoio, in questo periodo, somiglia tanto ad una sauna. Sempre con la doccia fredda, però: questa è una costante estiva ed invernale.
Il bagnoschiuma al mango: che tutte le volte che si apre il tappino, un odore tremendo e dolciastro si spande per tutte le docce, e già le ragazze hanno minacciato più volte di farmelo mangiare, il mio stra*#ç+*!!..tissimo bagnoschiuma al mango. Crema idratante, per lenire il prurito tremendo del mix erba/zanzare/polvere/abrasioni da gioco.
Chiudo la borsa.
Aspetto anche il primo sorso di birra dopo l'allenamento, che ha un sapore tutto speciale.


Sono pronta.

25 agosto, 2008

ZUGLIO, COL BENE CHE TI VOGLIO



 
Quando vado in moto, non riesco a tenermi agli appositi manigliotti a fianco del sedile del passeggero. Per la gioia di Ennio, sto proprio attaccata al pilota, a koala sulla schiena. Peso doppio sulle vertebre. E un fastidioso toc-toc-toc che, ad ogni frenata, fa far cin-cin ai due caschi, con un effetto rimbombante alla testa estremamente fastidioso.

Io urlo: "Scusaaaaaaa", ad ogni toc, cercando di superare il frastuono del motore e del vento, mentre lui scuote la testa, sconsolato.

Mi piace andare in moto, perché ho tempo per guardarmi intorno. E, dopo un po', il rumore mi fa partire delle canzoni, in testa, dentro il casco: e le canto tutte benissimo, perché la musica affiora dall'apparente caos, e il sottofondo fa sì che anche le stecche siano graziate. Quanta soddisfazione, a cantare dentro il casco! Come quando si canta sotto la doccia. La moto (e la doccia) rendono giustizia agli stonati.

E mentre canto, posso fare un sacco di altra roba: arredare mentalmente la casa nuova, ripassare tutte le (tre) parole in friulano che ho imparato, arrotolarmi il cervello per cercare di ricordarmi come si chiamava l'attrice che faceva Miranda in Sex & The City.

E, tra una sciocchezzuola e l'altra, tornante dopo tornante, ci ritroviamo a 2600 metri, in mezzo alle cime più alte dell'Austria, a fare a palle di neve, o a scaldarci ad una stufa di maiolica, invece di stare su una spiaggia a rosolarci al sole.

La discesa dalle montagne è entusiasta e piena di buoni propositi: si parla già di polenta con costaiola di maiale, dopo un buon aperitivo alla Pecora Nera di Tricesimo. Accostiamo la moto, per una cortese telefonata a casa, per avvertire che siamo vivi e siamo rimpatriati.

Grave imprudenza.

Lo spiazzo è di fronte ad un locale che assomma tutte le caratteristiche più disgraziate per un locale pubblico: si chiama "Ristorante Mexico". L'ingresso dà direttamente sulla strada pubblica (nel senso: esci piano dalla porta, se non vuoi farti pestare un piede da un camion lanciato a folle corsa verso il confine austriaco), non c'è parcheggio, il centro del paese se ne sta proprio dall'altra parte, oltre il ponte, ben lungi da poter intrappolare qualcuno con l'odore promettente fuoriuscito da un'invitante cucina.

Leggo, con malcelata smorfia di alterigia, le numerose specialità elencate, osservando astutamente che troppe specialità fanno sì che non ci sia, in realtà, nessuna vera specialità (quanta saggezza culinaria! Sto diventando cinica come il peggior Raspelli in circolazione)...

Pizzeria.

Cucina messicana.

Cucina tipica (vien da chiedersi: tipica di dove, per fare le pugnette?).

Lasagne (uh?!).

Internet Point (che con la roba da mangiare c'entra fino a mezzogiorno).

Video Music (Video Music? Questa sì che è una prelibatezza: dopo anni e anni di strapotere imperante di MTV... MTV, get off the air!).

E infine, aggiunto posteriormente: Solo per oggi, cjalsons. Ma il cartello recava già parecchi strati di polvere, quindi vien da pensare malignamente che l'oggi del cartello, in realtà, si ripeta già da parecchi "oggi", come quel Il Giorno della Marmotta con Bill Murray (sarà un caso, ma le marmotte le abbiamo viste davvero, durante la giornata).

Riponiamo il telefono, dopo aver assolto i doveri familiari, pregustiamo il pasto ferino con sano appetito acuito dall'aria fina dell'alta montagna, e dal fatto che a mezzodì avevamo ingerito soltanto un misero wurst.

Ma il buon Dio è dotato di senso dell'umorismo, evidentemente.

E se fa ridere, vale.

Ma non l'ho pensata così, nell'immediatezza dei fatti.

Ennio gira la chiave della moto, e la moto non dà segni di vita.

Riproviamo.

Un misero baluginare sul quadro elettrico, poi più nulla.

"Fusibili", dice lui. E io, già in preda a deliri per la fame, capisco fusilli.

Ma non sono i fusibili. E neanche i fusilli.

Sapete quella storia che raccontano sulla solidarietà tra motociclisti, per cui se un motociclista si trova in difficoltà sul ciglio della strada, tutti quelli che passano si fermano a soccorrere?

Non date mica retta.

Mica vero.

I motociclisti avevano fame anche loro: salutavano, e tiravano dritti, belli belli, verso le loro cene fumanti in tavola.

Noi ci guardiamo: per il furgone della pietà, chiamato a soccorso per caricare noi e la povera moto, serve almeno un'ora di speranzosa attesa. E nel frattempo, che fare? Non si può mica stare lì, sul ciglio della strada, con la pancia vuota!..

L'insegna rossa scadente del "Ristorante Mexico" ci guarda, quasi sogghignando beffarda. Invitante, certo, ma anche ambiguamente inquietante. Come l'insegna di un Titti Twister, dopo il tramonto: carico di lusinghe ma, in realtà, infestato dai vampiri.

E sia.

Lasciamo ogni speranza, prima d'entrare.

In realtà, il cartello con le specialità è risultato ingeneroso, rispetto alle attrattive del locale: oltre all'internet point (un catorcio di computer spento, con uno sgabello davanti), abbiamo anche incontrato due Juke Box (uno alimentato con roba scottante degli anni '60, da Adamo ai Primitives; l'altro con un bel pot pourri di tutto il resto, dagli AC/DC a Shakira), un flipper di Space Jam, varie foto dell'oste con celebrità di dubbia provenienza, un grappolo di campanacci da mucca appesi alla porta d'ingresso per appalesare la nostra entrata.

Nonostante i campanacci, però, nessuno sembra scosso dal nostro ingresso.

Anzi, non c'è proprio nessuno.

Saliamo al piano superiore, da dove provengono garrule risate, tonanti bestemmie, e il sottofondo rassicurante di un inizio di partita di calcio dell'Inter... oh, quanto ci è mancato durante l'estate lo sport narcotico nazionale..

Arriviamo al piano di sopra, interrompendo la conversazione del tavolo, i cui occupanti (la Signora Oste e la sua famiglia) ci guardano palesemente ostili.

Non sono per niente convinti delle nostre intenzioni serie (di assicurarci un pasto caldo dentro lo stomaco), e credo abbiamo ritenuto più probabile l'ipotesi della rapina a mano armata (coi caschi, magari...).

La Signora sonda il terreno nemico: "Siete italiani?".

"Sìììììì...". Sorridiamo in stereo, per cercare di rassicurare la tavolata e ristabilire il clima festoso di poc'anzi.

Risposta sbagliata: "Beh, allora sappiate che i tedeschi oggi hanno spazzolato tutto, e non c'è rimasto niente da mangiare".

Un ristorante senza roba da mangiare? Non male, come inizio.

Ma la Signora però ha in serbo ben altre meraviglie: "Certo, le pizze sono finite, ma se vi accontentate di quello che c'è... Ecco: per esempio, oggi pomeriggio alle due ho fatto le lasagne!".

In trappola, come due novellini.

Risulta facile formulare una semplice considerazione logica (del tipo: ma se il locale a mezzogiorno era invaso da un'orda di crucchi affamati che facevano fuori tutte le pizze del mondo, dove ha trovato la Signora il tempo per preparare delle ottime lasagne, da servire ai clienti che non si aspettava sarebbero arrivati la sera stessa?), ma sul momento ci siamo trovati in trappola, prigionieri della nostra stessa fame. Vada per le lasagne!

Che eravamo stati fregati, lo abbiamo capito subito, quando la Signora si è presentata al tavolo dei suoi familiari con una sfornata di pizze messicane: orribili ibridi di pasta, sovrastati da un totem con sombrero nel mezzo del piatto, circondato, come tante piccole offerte votive, da nachos, patate fritte, peperoni, e chissà quali altre incongruenze culinarie.

E arrivavano anche le lasagne.

Condite dalla più grossa bufala che io abbia mai sentito con le mie orecchie.

La Signora Oste ci rifila una balla talmente pacchiana che risulta quasi oltraggiosa, come l'erba cipollina infilata nel ragù delle lasagne. Pare che una cliente bolognese, trovatasi nel locale, così contenta, ed anzi, commossa, per la bontà dei cjalsons assaggiati nel locale, ne abbia ordinato ben 15 teglie (15!!!) da recare con sè al rientro a Bologna. Quale souvenir del posto..

Ed anzi (proseguiva l'oste, nel pieno delirio di onnipotenza provocato dal suo stesso racconto), pare che le teglie siano giunte a destinazione, nel bel mezzo del Piano Padano, quasi ANCORA CALDE (ooooooooh, miracolo! S'ode dalla folla rumoreggiante!).

Io ed Ennio affondiamo le forchette impotenti, in quegli strati di pasta insapidi e refrattari al sugo, in quel condimento dal sentore di ketchup, in quella bolgia di unto che, tradimento, riesce solo ad impressionare il palato con un'ustione per la materia fusa al suo interno.

Triste è il rientro, non in sella al destriero su due ruote. Ed ancora più triste la nottata, in preda a spasmi per una digestione che non ne vuole sapere di giungere a compimento: altro che lasagne fatte il giorno stesso! Que viva Mexico!

NOTA DELL'AUTRICE: Visto che il locale era anche un internet point, non è escluso che qualcuno dei gestori del locale càpiti, in un futuro non tanto remoto, su queste pagine e ne rimanga sentitamente oltraggiato. Bene, mi rivolgo a Lei direttamente, Signora Oste: non se ne abbia a male. Lo abbiamo fatto per dileggio, per irridere la nostra sorte avversa. Non per cattiveria o per ingratitudine, o peggio, per risentimento nei confronti di un prezzo eccessivo per le libagioni assicurateci.

E comunque... quelle lasagne facevano veramente cagare!..

19 agosto, 2008

RATATOUILLE

Me ne torno a casa.
Una spesa leggera, sul sedile anteriore della macchina. Che non ha la pretesa di ricostituire le scorte dopo le vacanze, ma che può dare consolazione per la fine delle ferie, e un buon accompagnamento goloso per la visione di Sweeney Todd (segnare tra gli appunti: mai prendere il pasticcio di carne al ristorante.. scrib scrib scrib...).
"Tutta mia la città", cantava il mio illustre compaesano Vandelli, e non certo quel bellimbusto con gli occhiali da sole troppo grandi che si permette di scaravoltare in levare il ritmo di alcune canzoni che stanno benissimo lì dove sono... ma non voglio pensare alle cose che mi fanno arrabbiare, ora. Il ragazzone con la cravatta avrà avuto i suoi buonissimi motivi, per lasciare i Casino Royale, e per fare una camionata di soldi.
Io ho tre lavatrici di roba da lavare, dopo le vacanze. Devo annaffiare i ficus sotto il portico e devo fare la puntura alla nonna, domani.
Ma per ora, è tutta mia la città. Ancora non fremono i preparativi per la sagra paesana, e tutti se ne stanno rintanati nelle loro tane, aspettando che evapori il caldo accumulato durante il giorno.
Entro in cucina.
Tutta mia la cucina.
Ma c'è qualcosa che non quadra.
E' un foglietto bianco sul tavolo.
"Cara Lara,
tuo padre ha avuto la brillante idea di far saltare la cucina un'ora prima di partire per le vacanze.
Dovrai andare avanti a insalate per una settimana.
Baci.
I tuoi geni(tori)"
Una settimana di insalate?
Il foglietto accartocciato descrive una graziosa traiettoria a parabola fuori dalla finestra.
Non ho neppure intenzione di scaricare i bagagli, e la spesa ormai inutile e incucinabile.
Dietro-front, e si torna in Friuli, altro che insalate!
EPILOGO:
E cos'è successo, poi, alla cucina?
Un topolino.
Un minuscolo topolino di campagna.
Quatto quatto, si è riuscito ad infilare sotto le pesanti assi della pesante cucina in legno massiccio dei miei geni(tori). Ha trovato un bel cavo di suo gradimento, che ha rosicchiato ben bene, tenendolo fermo con le zampine, mentre si dava da fare coi denti.
E' rimasto lì attaccato, folgorato dal suo ultimo pasto.
Pessima scelta di ingredienti, per l'ultima cena.
Non tutti i topi nascono chef come il simpatico topino di Ratatouille.
Amen.

07 agosto, 2008

IL DESSERT DEI TARTARI...



 
... si chiama Palacinka.

Ma, per quanto di pregevole fattura e gradito al palato, non è il piatto protagonista della serata. Ammetto che fa ridere già di per sè, e vale la pena solo per dire: "Cara, dove ti porto a mangiare stasera? Ti va se andiamo all'estero?".

Perché bisogna andare all'estero, per mangiare la tartara.

In Slovenia.

Veronica ha i lunghi capelli frisé, un bellissimo modo di parlare a ondate: onde di parole a getti, velocissime, e pause lunghe come una bassa marea.

Per lasciare il tempo, a chi si trova davanti, di recepire il messaggio.

Per sorridere, con il riflesso malizioso del diamantino sul dente.

E' grazie a lei se, almeno per una sera, mi sono potuta sentire come la Gregoraci.

Strafiga, intendo: non nel senso che il mio uomo abbia qualcosa a che spartire con Briatore.

L'unica sera in cui avrò indossato dei sandali a tacco alto D&G.

Grazie, Veronica.

Perché la vita è fatta anche di queste cose inaspettate.

Non i sandali D&G: il fatto che lei se li sia tolti di dosso, una sera, per farli indossare a me.

E vederla allontanarsi a piedi scalzi sull'asfalto.

Con i lunghi capelli che ondeggiavano sulla schiena.

Mentre io me ne stavo lì, sorpresa, con queste pregevolissime calzature in mano, e i laccetti pendenti come alghe.

E poi perché è stata lei, a chiedere alla cameriera di poter assistere alla preparazione della tartara.

Per di più, millantando che serviva per il mio blog di cucina (!!!).

Già la cameriera mi guardava con sospetto, presagendo che avrei rubato segreti e ricette.

Con il piatto sanguigno tra le mani, la cameriera sembrava una versione rossa e nordica di Mrs. Lovett di Sweeney Todd.

Lungo il carrello stavano allineate ampolle di metallo, con il becco affusolato come tante piccole lampade di Aladino: anche volendo rubare la ricetta, mai avrei potuto tenere a memoria tutti gli ingredienti. Il segreto dei tartari era ancora salvo, per fortuna loro.

Carne cruda, dunque: filetto di vitello, per la precisione.

Macinato, ma non spappolato.

Due uova crude, capperi tritati, senape, limone, sale & pepe, prezzemolo tritato, olio, Worcestershire Sauce e rum.

E una bella tecnica per mescolare il tutto: guardo affascinata, movimenti rapidi, e abilità consumata da centinaia e centinaia di tartare.

Si mangia così. Nuda e cruda, con burro, su crostini caldi di pane tostato.

E così, tra un crostino e l'altro, lei mi dice che se ne va.

Anche lei.

Ho come una sorta di dolorosa abitudine, ormai, a sentire questa cosa.

Sembra la canzone dei Negramaro: "Da me, lo so, si va soltanto via".

Stavolta, è più significativo per lui, per il mio friulano del cuore.

Per me è il senso e la sensazione della separazione, come scrivevo solo pochi mesi fa.

E' come arrivare in un posto nuovo, e scoprire che la festa è ormai finita, e tutti sono già partiti.

Rimane nell'aria la sensazione del vissuto, dei ricordi di altre persone.

E l'altra inquietante sensazione di non capire: non capire perché si voglia solo andar via.