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Inguaribilmente energetica, e contagiosa.

07 agosto, 2008

IL DESSERT DEI TARTARI...



 
... si chiama Palacinka.

Ma, per quanto di pregevole fattura e gradito al palato, non è il piatto protagonista della serata. Ammetto che fa ridere già di per sè, e vale la pena solo per dire: "Cara, dove ti porto a mangiare stasera? Ti va se andiamo all'estero?".

Perché bisogna andare all'estero, per mangiare la tartara.

In Slovenia.

Veronica ha i lunghi capelli frisé, un bellissimo modo di parlare a ondate: onde di parole a getti, velocissime, e pause lunghe come una bassa marea.

Per lasciare il tempo, a chi si trova davanti, di recepire il messaggio.

Per sorridere, con il riflesso malizioso del diamantino sul dente.

E' grazie a lei se, almeno per una sera, mi sono potuta sentire come la Gregoraci.

Strafiga, intendo: non nel senso che il mio uomo abbia qualcosa a che spartire con Briatore.

L'unica sera in cui avrò indossato dei sandali a tacco alto D&G.

Grazie, Veronica.

Perché la vita è fatta anche di queste cose inaspettate.

Non i sandali D&G: il fatto che lei se li sia tolti di dosso, una sera, per farli indossare a me.

E vederla allontanarsi a piedi scalzi sull'asfalto.

Con i lunghi capelli che ondeggiavano sulla schiena.

Mentre io me ne stavo lì, sorpresa, con queste pregevolissime calzature in mano, e i laccetti pendenti come alghe.

E poi perché è stata lei, a chiedere alla cameriera di poter assistere alla preparazione della tartara.

Per di più, millantando che serviva per il mio blog di cucina (!!!).

Già la cameriera mi guardava con sospetto, presagendo che avrei rubato segreti e ricette.

Con il piatto sanguigno tra le mani, la cameriera sembrava una versione rossa e nordica di Mrs. Lovett di Sweeney Todd.

Lungo il carrello stavano allineate ampolle di metallo, con il becco affusolato come tante piccole lampade di Aladino: anche volendo rubare la ricetta, mai avrei potuto tenere a memoria tutti gli ingredienti. Il segreto dei tartari era ancora salvo, per fortuna loro.

Carne cruda, dunque: filetto di vitello, per la precisione.

Macinato, ma non spappolato.

Due uova crude, capperi tritati, senape, limone, sale & pepe, prezzemolo tritato, olio, Worcestershire Sauce e rum.

E una bella tecnica per mescolare il tutto: guardo affascinata, movimenti rapidi, e abilità consumata da centinaia e centinaia di tartare.

Si mangia così. Nuda e cruda, con burro, su crostini caldi di pane tostato.

E così, tra un crostino e l'altro, lei mi dice che se ne va.

Anche lei.

Ho come una sorta di dolorosa abitudine, ormai, a sentire questa cosa.

Sembra la canzone dei Negramaro: "Da me, lo so, si va soltanto via".

Stavolta, è più significativo per lui, per il mio friulano del cuore.

Per me è il senso e la sensazione della separazione, come scrivevo solo pochi mesi fa.

E' come arrivare in un posto nuovo, e scoprire che la festa è ormai finita, e tutti sono già partiti.

Rimane nell'aria la sensazione del vissuto, dei ricordi di altre persone.

E l'altra inquietante sensazione di non capire: non capire perché si voglia solo andar via.



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