L'impatto col terreno è accecante.
Il dolore pulsa dal bacino e si irradia fino al cervello.
Più forte, sul momento, è il richiamo del campo.
Mi alzo in piedi.
Non ci riesco. Crollo di nuovo a terra.
"Marco, sostituiscimi!"
E cerco di raggiungere il bordo del campo sui gomiti. Niente da fare.
Apro gli occhi, ed è una fetta di cielo, tra i visi piegati su di me.
C'è un dottore con la barba sale e pepe, che mi chiede se riesco a muovere le gambe: no, altrimenti sarei riuscita a stare in piedi, e ad uscire dal campo. C'è la Marta, l'Alle che mi accarezza il viso e, chinandosi, mi punta il ginocchio proprio sul centro pulsante del dolore. Urlo.
Ennio, con la faccia sottosopra, perché si è abbassato proprio sopra la mia testa. Mi prende la mano: "Sono qui". Marco, scusa... non aver paura... è solo una botta. Giro la testa: la Cannavaro piange. No, Serenita, non piangere. Io piango, ma è la rabbia per dovervi lasciare qui. Senza di me. Me ne vado, sull'ambulanza. Sento gli applausi delle ragazze, e le Foxy che gridano, solo per me: "CEL'HAICONMEEEEEEEEE?!". Vedo il tetto dell'ambulanza dal di dentro: brutti ricordi, di un incidente tanti anni fa. Tagliano le scarpe, che non si riescono a sfilare. Ho freddo, tanto freddo. La maglia da gioco, ancora addosso, ancora sudata.
Mi posano sul lettino delle radiografie. Il contatto con la superficie gelida e rigida mi fa fare un balzo. Artiglio la spalla del dottore che sta localizzando la botta, e lui smette di premere, intimorito. Un lampo di luce, e subito rientrano i due dottori. Guardano la lastra: "Niente di rotto".
Chiudo gli occhi, libero un ringraziamento al cielo. Esco sulla barella urlando: "NON E' ROTTOOOOO!!", e subito parte il giro delle telefonate. Non è rotto. Non è rotto.
Non è rotto.
Stai con me, Ennio. Stanotte, stai con me.
Non ho idea di cosa significhi vedere cadere a terra la persona amata. E vedere che non si rialza.
Non aver paura.
Non è rotto.