Informazioni personali

La mia foto
Spezzano, Modena, Italy
Inguaribilmente energetica, e contagiosa.

26 maggio, 2008

TRENETTE AL SUGO DI BASILICO, POMODORINI, NOCI (E FANGO)


Quando le persone che mi fanno l'onore di essere mie amiche, ma che vengono da lontano, si trovano a transitare nei paraggi, le conduco in gita nel posto più strano che io abbia vicino a casa. Che non è sicuramente il museo Ferrari (tzè!), bensì le Salse di Nirano.
Non è ancora il momento della ricetta: le salse in questione non sono commestibili, ma hanno molti altri effetti collaterali positivi. Trattasi di fenomeni vulcanici per cui... com'è, come non è... il metano esce dalla pancia della pianura padana, e si tira dietro un fango acido che corrode ogni forma vegetale nei dintorni. Raccontata così, non sembra molto attraente: e invece, sotto la luna placida, si vedono dei crateri alti un paio di metri, che borbottano allegramente metano a intervalli irregolari.
Paesaggio molto particolare, non certo di questo pianeta.
Che sarebbe meglio visitare di giorno, lo so: ma vuoi mettere l'effetto di queste candide piramidi naturali che si stagliano contro il cielo stellato?
E poi il fango delle Salse di Nirano ha molti effetti positivi: lascia la pelle morbidissima, e non bisogna sottovalutare l'importanza di una pelle morbida sulle mani al momento giusto.
E' vero che al sabato mattina bisogna alzarsi presto per spazzolare via il fango secco dai vestiti (i quali certo non traggono alcun beneficio dal trattamento termale!), ma ne vale comunque la pena.
Andiamo a raccogliere i viandanti lungo la strada, per raggiungere il punto di partenza ufficiale della gita, a Bologna: c'è l'Olga, con sguardo bellicoso già alla mattina presto, gli occhi determinati di un John Belushi che dice: "Sono in missione per conto di Dio!". C'è la Robbb, debitamente rinfrancata dal trattamento-benessere dell'Azienda Agricola Mammi (Tigelle-Fango-Notte al freddo, e dove min***a sono le coperte di lana?). C'è Ubo, che si presenta all'appello con sgargiante maglia Arlecchino e borsa medica da cui spunta un salame ed il collo di una bottiglia di Malvasia.
E poi c'è la Lara: ligia alle istruzioni ricevute dal comitato delle Fashion Consultants, indossa vezzose ballerine, jeans attillati, maglia gnocca e tutti gli accessori come si deve... orecchinicollanaanelli, goccia di profumo al muschio bianco, capello stirato e lucidalabbra alla fragola. Un'arma di seduzione di massa, praticamente.
La Robbb sceglie la colonna ufficiale del viaggio, che sarà "O brother, where art thou?" fino alla domenica sera.
I bolognesi ci riservano un'accoglienza tiepida, all'inizio, per una naturale forma di timidezza superata con difficoltà dopo i primi trenta secondi. Anzi, avremmo avuto modo di rimpiangere, in seguito, questo breve intervallo di riservatezza.
La sosta all'autogrill è stata un'apparecchiata (sì, sì, proprio coi tavoli) di torte salate, gnocco ingrassato alla pancetta, provola affumicata e salumeria assortita, con gran giramento di bottiglie di vino. L'unica che cercava di mantenere una parvenza di ordine era la Lucy, nella veste ufficiale di accompagnatore della squadra (accompagnatore, non accompagnatrice, mi raccomando: che tutte le parole con cotanto suffisso conducono inesorabilmente a battutacce becere!): "Dai, ragazzi... fate a modo, che tra un'ora giocate!".
Qualcuno assentiva, compunto, continuando a masticare.
Il comitato di benvenuto a Udine era costituito da una meravigliosa Paola, che ha fatto in modo che ci arrivasse una birra in mano appena dopo il primo saluto. E anche il grande brò Muggs, che ormai vedo più spesso di mia madre.
L'Orso era già in campo, e non stava più nella pelle (d'Orso) per la voglia di giocare.
I bolognesi si dileguavano negli spogliatoi, per riemergere con tenute impeccabili (numeri intorno al 65 e al 70, con una spiccata preferenza per il 69.. lettere U, P.. boh.. va' a capisc'). Nelle altre squadre militavano old bellissimi, come un sontuoso Gandalf il grigio, con ginocchiera, che non ha esitato nel prosieguo ad esporre il torace alla pioggia battente, con i fili argentei del petto e della barba che scintillavano stillando acqua e sudore.
O il nostro Capitano, senza numero, come per dire: "Che bisogno c'è, del numero? Soun mè!".
O l'ala che ha scivolato lungo la linea del campo con l'abilità di un Francescato, e dopo aver giocato tutta la difesa avversaria, subiva il tradimento del fiato: finendo la benzina, a 5 metri dalla linea di meta, e fermandosi. Affranto come un Dorando Pietri alla fine della maratona..
Riconosco una nuca da lontano, e vado in agitazione.
Sarà un pomeriggio così, di sguardi che si collegano a distanza e sorrisi.
La pioggia comincia a battere sui gradoni, inesorabile. Le mie ballerine fanno "squeak squeak" ad ogni passo, e il pensiero vola alle mie Fashion Consultant, con un anatema: di avere le vesciche ai piedi ad ogni paio nuovo di scarpe, da qui all'eternità.
Il terzo tempo regala un po' di clemenza metereologica. Ne approfitto per cambiarmi ballerine/maglietta gnocca con un'accoppiata più congeniale alla sottoscritta: Airwalk/maglietta "Ma ce l'hai con me?". Ora va meglio.
Vado subito a rompere le scatole al gruppo musicale, perché mi facciano cantare Roxanne dei Police. Ma tanto il gruppo è subito subissato dai cori dei bolognesi, molto più potenti e molesti, che tengono bene la scena con i pezzi forti del repertorio, dalla Fèra ed San Lazèr, alla Gigiàza.
E la Lara dov'è?
Con un aiuto provvidenziale, ed una spinta per i pantaloni degna da terza linea centro, la Lara è volata via, per un tempo che potevano essere cinque minuti, e invece era di più.
Un colpo di clacson della corriera, a risvegliarsi dal sogno, e gli applausi scroscianti con i cori da stadio per il rientro trionfale alla realtà.
Ben venga la penombra ondeggiante della corriera; meno graditi gli orrendi peti alla cipolla di un autore sconosciuto, rimasto anonimo per tutto il tragitto.
La carovana arriva a Langhirano nel pieno della nottata, con le ultime energie residue, e forse senza neanche quelle. La mia buona notte alla Robbb rimane sospesa nel buio, con una frase scandita da una pausa di circa otto ore.
Il giorno dopo tocca a me.
Non si possono lasciare sei persone affamate intorno a una tavola!
Tagliare la cipolla non troppo finemente, perché dovrà raccogliere e trattenere l'aroma del basilico. Soffritto con olio, sale e pepe. Pomodorini ciliegini tagliati in quattro, a cui vanno tolti tutti i semi e la polpa. Una scottata nel soffritto, prima di aggiungere latte e basilico. E' qui che il basilico (tagliato in striscioline, con le forbici) comincia a rilasciare aroma, ed è il momento migliore per aggiungere le noci, pestate ben benino. In ultimo la polpa di pomodoro, che va fatta cuocere fino a che non diventerà un po' scura. Nel frattempo, le trenette dovrebbero essere già cotte a puntino.
Sul piatto, prima di servire, una generosa spolverata di Parmigiano Reggiano.
E per continuare, cotolettone ed insalata, e le fragole con la malvasia, preparate da Ubo.
Si parla meglio, con la pancia piena.
Anche di questa terra schietta, in cui vale la pena trascorrere la vita: in quale altro posto al mondo esistono le "smaggiate" (il 1° maggio si ruba tutto ciò che si trova all'esterno delle case, trattori, carretti, macchine, e si porta nella piazza cittadina: così, i legittimi proprietari sono costretti ad andarsi a riprendere la roba, tutti insieme. E' una lodevole iniziativa che favorisce l'aggregazione sociale..)? O in quale altro posto si ribattezzano affettuosamente i monumenti con nomi appropriati come "L'Inculèè", "La Bùness'ma", "I Dùù Brazèè"?..
Dove altro si potrebbe andare, per cercare di essere felici?

22 maggio, 2008

DIO FECE IL CIBO, IL DIAVOLO FECE I CUOCHI


 
Bene...

Ci tengo che lo sappiate.

Stamattina alle ore 09.33 e 44 secondi ho ripetuto le analisi dei trigliceridi nel sangue.

I valori di riferimento sono tra 30 e 180 mg/dL.

Dopo un clamoroso picco dell'inizio di maggio, dovuto probabilmente ad una scorpacciata di salsiccia, che aveva portato i valori a 612 mg/dL (sì... una cosa da matti!), le analisi, stamattina, hanno dato il seguente responso:


70 mg/dL


Lo sapevo, che il cibo non poteva tradirmi!
O meglio, lo speravo..

Ringrazio di cuore tutte le carote che ho mangiato in queste settimane, e gli infusi di tarassaco.

Ma ora sono in debito di un brindisi con ciascuno di voi. E ho intenzione di onorare le mie obbligazioni.

20 maggio, 2008

19 maggio, 2008

SOTTRAZIONE


Ieri ho visto una partita di rugby. Ma non l'ho vista.
Stavo sotto la tribuna, con l'impianto da proteggere dall'acqua che pioveva da ogni dove, e la mia visuale era la schiera di tacchi e talloni degli spettatori che stavano seduti sopra la mia testa.
In un primo momento, ero molto contrariata per questo confino forzoso (a parte il fatto che guardavo con estrema preoccupazione l'avanzata delle macchie di umido che insidiavano i miei pargoli: dischi, lettori e mixer.. ero organizzata come in un campo profughi, con ampi ombrelli a coprire il copribile, sacchi di spazzatura sulle casse e ciabatte volanti con i fili scoperti che minacciavano seriamente la mia esistenza terrena), ma dopo qualche accidente appropriato rivolto alla mala sorte, mi sono adattata mio malgrado..
Non vedevo la partita in campo, ma ne sentivo il riflesso attraverso i movimenti nervosi di quei talloni, e gli "Arbitro mona!" che eravo urlati più con disappunto che con cattiveria, ondate di entusiasmo che terminavano o con un esplosione, o si infrangevano con un fragoroso "Nooooo!" contro un muro di delusione.
Non sapevo dove si trovasse l'ovale, o in quale parte del campo si svolgesse l'azione. Ma, a seconda dei cori, degli incitamenti, dei commenti generali, si riusciva a ricostruire l'azione a grandi linee. E, a un cenno di mano convenuto con l'esterno, ad ogni meta dei ragazzi facevo risuonare in tutto lo stadio l'inizio di Song 2 dei Blur.
Sottrazione.
Non usare alcuni sensi per arrivare ad avere la percezione di un evento.
Fermi al semaforo, vedere una coppia che discute, nella macchina di fronte: non si scorgono neanche i movimenti labiali, ma dalle mani, dalla concitazione, capire la dinamica del dialogo, e fare un sacco di congetture per indovinare l'oggetto del contendere.
La nonna faceva il caffè alzando continuamente il coperchio della caffettiera, come se non si fidasse della presenza del caffè, o per controllare "se era uscito tutto"! Ma come, nonna?.. La mia caffettiera è di quelle minuscole, va bene solo per un caffè e mezzo. La lavo con devozione, usando una spazzola da lavello apposta. Senza detergenti di nessun tipo. La asciugo, sbattendo più volte il filtro contro uno strofinaccio. Acqua. Due cucchiaini di caffè. Pressati con il dorso del cucchiaino, tutte le volte alla stessa maniera. Fuoco al minimo. E la sottrazione dov'è?
La sottrazione è il profumo di caffè che si propaga nella stanza. E il borbottio della moka. Non alzo mai il coperchio. Spengo il gas a colpo sicuro. So che il caffè è lì, e so che faccio il caffè anche per avere nella casa quell'odore che aleggia, confortante.
Ieri sera, invece, non ho sentito una sottrazione, quanto piuttosto.. uno spostamento inatteso di punto di vista. Me ne stavo lì ad aspettare di smontare l'ultimo sostegno delle casse, per poter portare via l'impianto, ed è successo, inaspettato.
Ho visto un'altra persona comportarsi esattamente come me. Mi sono vista allo specchio, ma era un'altra persona. Uno sfogo di rabbia incredibilmente violento, che si è abbattuto su una terza persona colpevole solo di essere al posto sbagliato nel momento sbagliato. E' stata una sensazione così strana, che ne sono rimasta allibita: al momento di andare via, il furore era ancora vivo, appena trattenuto dal fatto che erano presenti degli estranei. Ma l'ho percepito distintamente e bruciante, come una scottatura, al momento di poggiare la guancia sulla guancia per il bacio di saluto.
Tutte le volte che esplodo di rabbia, tutte le volte che mi saltano le valvole di contenimento, ho il sentore che le mie reazioni siano perfettamente adeguate. E di sicuro non è così. Mi è bastato vedere il viso del bersaglio dello scatto d'ira: apparentemente imperturbabile, fermo.. ma io credo che non sarei voluta entrare in quella casa, in quel momento, per tutto l'oro del mondo.

12 maggio, 2008

MAMMA MIA


 
Mia mamma non sa fare da mangiare.
Beh, ha tante altre qualità, ci mancherebbe! Sa disegnare perfette riproduzioni dei quadri di Klimt, si incatena agli alberi a scopo dimostrativo per impedire che siano tagliati, si occupa dei caprioli (no, non per la polenta, intendo), di politica, delle orchidee selvatiche e ama la musica di Demis Rousseau, delle Orme, di Lucio Dalla e di Guccini.
Ma non sa fare da mangiare.
La vera rezdòra di casa era la nonna, che raccoglieva al desco ogni giorno i figli lavoratori, i rispettivi consorti, lo stuolo di nipoti, il marito, naturalmente, e viandanti e ospiti occasionali.
Praticamente, un'osteria, aperta ad ogni ora del giorno. La tavola perennemente apparecchiata. Un bel contrasto con la credenza di casa nostra, vuota in maniera desolante..
Col passare degli anni, la credenza ha cominciato a popolarsi: dapprima ingredienti casuali, presi più per impulso momentaneo, che per vera necessità. Patate americane (quelle lunghe lunghe e dolci, da fare al forno, che mio padre difendeva con le unghie e coi denti da ogni assalto familiare avversario), cocomera (questa era affar mio, lo ammetto..), uova e radicchi di campo (da condire con aglio e un fiume di aceto balsamico: una ricetta che aveva anche il pregio di allontanare le zanzare tigre!), semi di zucca e pistacchi (mio fratello ha sempre nutrito un'insana passione per questi stuzzichini da scimmia.. bah!).
Poi, inaspettatamente, mia mamma ha cominciato a fare da mangiare.

Ieri mattina la giornata è cominciata molto presto. Tè caldo, fette biscottate e marmellata di lamponi, con lo stomaco serrato dall'imminienza della partita. E cioccolato, non tanto per dare benzina alle gambe, quanto per la consolazione momentanea.
Viaggio in pulmino con la testa che vuole dormire, ma ciondola per ogni dove, a causa della mancanza di supporto. Sedile duro. Sguardi persi sui Colli Euganei. Orecchie immerse nei suoni delle cuffiette, per la concentrazione, per isolarsi dalle tensioni altrui e concentrarsi sui propri pensieri.
Il campo di Thiene, duro e polveroso. Sole in fronte, fatica, terriccio: all'ennesima ripartenza, quando la ragazza di Bologna punta dura la spalla verso la mia direzione, pensare: "Oh, no.. ancora?!". E giù nella polvere, e su di nuovo per vedere dov'è finita quella palla.
Occhi azzurri dietro gli occhiali, che mi sorridono comprensivi: l'effetto è più o meno quello del cioccolato della mattina. Dolce, e provvidenziale.
Pochi momenti nel parcheggio del centro sportivo, ma tutto sommato un bel terzo tempo: la Red Panther mi regala i suoi calzoncini ed i calzettoni, le bimbe mi fanno gli auguri per la festa della mamma (bafangule!), e io vado in giro a finire tutti i succhi di frutta lasciati a metà, con una sete inestinguibile addosso e neanche una birra all'orizzonte.
La prima birra riesco a prenderla a Verona (già che siamo di strada per il ritorno), in compagnia dell'unico veronese che conosco, che ritrovo casualmente sul campo della partita tra il CUS e il Viadana B. Strano, che il pallone ogni tanto ci voli sopra le teste, per planare sul campo da baseball. L'erba del campo da rugby è martoriata e giallognola, quella del campo da baseball è perfetta e soffice, e il pallone non fa neppure rumore, atterrando.
L'estremo (della squadra di baseball) sbuffa e va a raccogliere l'ovale estraneo e alieno, e lo butta oltre la tribuna, in quell'altro mondo di pazzi e romantici, ma un po' più scapigliati. Però alla terza o quarta volta che si ripete la scenetta, si rompe le scatole, e lo lascia lì. Mi metto nei panni di quel povero pallone abbandonato, che si ritrova su quel prato accogliente e silenzioso, e pensa: "Cos'è questa roba verde?".
La giornata termina alla tavola della mamma, che mi serve questa meravigliosa torta Margherita alle mandorle.
Non ci credo che l'abbia fatta lei: mia mamma non sa cucinare. Mi deve far vedere la teglia ancora nel lavello, da cui ha spiattato la torta, per convincermi. E dire che è una torta semplicissima, ma l'idea che mia mamma faccia le torte non riesce proprio a passarmi per la testa.
In realtà c'è una cosa difficile da fare, per la torta. Montare gli albumi a neve: mentre la nonna riusciva a fare una spuma fermissima e precisa, la mia neve di albumi è sempre stata un po' approssimativa. Ma se non si fa bene, la torta non viene, e non si può barare. Sei, o sette uova, di cui si separano i bianchi dai gialli. Dei bianchi si fa spuma, dei gialli, si fa un gran sbattimento con lo zucchero, quindi unire la farina (mia mamma usa la farina calibrata, quella che di solito serve per le sfoglie di pasta) e per ultimo la spuma di albumi, piano, per non far smontare la neve (dopo tutta la fatica che c'è voluta per farla venire a modo!).
La teglia della torta va imburrata e cosparsa di pangrattato: ci si mette dentro il composto, e sopra ci vanno delle scagliette di mandorle tostate, e lo zucchero a velo. 20 minuti in forno, a 180°, ed il dolce è bell'e che pronto!
E' molto buona. Auguri, mamma.

05 maggio, 2008

MAURI


Vado poco dalla parrucchiera.
E ci vado malvolentieri: non è piacevole avere in testa un impiastro puzzolente per lunghi quarti d'ora, e dopo i primi minuti cominciare ad avvertire un fastidioso pizzicorio, segno delle sostanze tossiche che stanno attaccando i miei poveri capelli e la pelle.. e ancora: gli schizzi di shampoo negli occhi, il pettine attaccato al mio bitorzolo sulla sommità della testa, le scottate di phon sulle orecchie.
Ma quando è troppo è troppo.
Gli allenamenti, la palestra, le partite: non mi ricordo l'ultima volta che ho messo la testa a posto (ah aha ah!). Diciamocelo: la vita dei capelli di una giocatrice di rugby non è proprio quella che sogna ogni capigliatura, prima di incarnarsi addosso ad un essere di sesso femminile. Strattoni, tirotti a tradimento, poco tempo da dedicare alla messa in piega nello spogliatoio, perché la vanità è ben più debole della fame, e solitamente soccombe al secondo istinto.
Con un sospiro prendo il biglietto da visita ormai gualcito che Stefano mi ha allungato all'Exalumeria mesi prima.
"Ciao, sono la Lara.. hai un buco, oggi?"
"Sì, vieni alle quattro. Cosa devi fare?"
"..."
"..."
"Tutto!"
"Mmmmmh... magari facciamo alle tre, eh? Che ne dici?!"
Arrivo là in piena isteria tricotica: l'allenamento della sera prima ha increspato ulteriormente questi scavezzacollo ribelli che mi ritrovo a foderare la scatola cranica. Lo sguardo di Stefano è desolato, mentre alza le ciocche tra due dita, come superstiti feriti su un campo di battaglia.
"Ti affido alle mani di Mauri..."
Mauri è un metallaro, dai lunghi capelli biondi da vichingo.
Ha le spalle larghe e spioventi, e le braccia che sembrano più abituate a maneggiare le clave, piuttosto che le spazzole. Mentre pennella la melma malsana da me tanto temuta sulle attaccature della testa, mi blandisce in maniera inaspettata: "Sai, stasera suono con il mio gruppo.. Se ti va di venirci a sentire? Io suono la batteria..".
Cioè, fatemi capire: il mio parrucchiere è un batterista metallaro che pesta su pelli e piatti le canzoni dei Nightwish, ed ora mi sta quasi facendo addormentare col tocco delicato dei suoi polpastrelli, e mi dice: "Guarda, ho questo olio di babassu, che contro il crespo funziona una meraviglia!"???
Neanche da dire: alla sera ero già lì.
Mi guarda con profonda disapprovazione: solo tre ore prima ero uscita perfetta dal salone di belessa, e ora mi presento senza i miei riccioli definiti nuovi di pacca! Scusami, Mauri, ma te l'avevo detto che dovevo andare in palestra!..
Arriva il piatto della serata (che non è un piatto Zildjian percosso furiosamente, come si potrebbe pensare di primo acchito): fagioli rossi, una montagna, adagiati su un vassoio ovale di porcellana spessa.
Si prepara in un'ampia padella un soffritto con abbondantissima cipolla rossa, un peperone rosso, peperoncino come se piovesse, sale, tabasco e polvere da sparo!
E abbondanti fagioli rossi, precedentemente ammollati.
Cuocere senza arrivare all'esplosione.
Non riesco ad immaginare un'altra cosa, da mangiare durante un concerto heavy metal. Il cantante indossa una mezza maschera di cuoio scuro che fa tanto Fantasma dell'Opera. La cantante è gnocca da paura. Il bassista e i due chitarristi fanno headbanging tutta la sera.
Mi pare di capire un segreto fondamentale: se i metallari sono sopravvissuti fino ai giorni nostri, è per merito dei parrucchieri metallari che si sono presi cura delle loro chiome per oltre un ventennio..
Mauri se ne sta nella sua batteria, e diobuono se pesta! Una fascia nera a tenere domi i capelli da vichingo: heavy as a real heavy thing, ma delicato con i tuoi capelli.

UN BACIO AL SAPORE DI FRAGOLA


Quando si comprano le fragole si ricerca sempre il cestino perfetto: uniformità di colore (le prime da scartare sono proprio quelle ancora acerbe, ma anche quelle troppo molli, che si spataccano appena si provano a prendere in mano), profumo inconfondibile che esce dalla sportina della spesa (anche perché le fragole stanno sempre in cima, o fuori, insieme alle uova) e pelle inconfondibile e irresistibile. Non ci si trattiene mai: almeno una o due fragole si mangiano subito, afferrate per il picciolo e morsicate con voluttà.
Quelle che resistono, arrivano a casa e finiscono in macedonia, o con zucchero e limone. Ma la cosa più libidinosa in assoluto è la mousse di fragole..
Serve uno stampino da semifreddo, meglio quelli stretti e lunghi. Tenetelo lì buono buono mentre vi occupate delle fragole. Una bella doccia di acqua ghiacciata, per cominciare. Via il picciolo, e anche l'aureola bianca che rimane sotto la coroncina verde. Spezzettatele in quattro (tranne tre o quattro fragole, che dovete graziare per fare le decorazioni), e frullate bene bene insieme allo zucchero e un cucchiaio di miele, fino a che non rimangano più pezzi di frutta.
Prendete due fogli di colla di pesce (o qualsiasi altro addensante che riteniate più opportuno, animale o vegetale) e ammollateli dentro un piatto di acqua fredda. Dopo averli strizzati per bene, scioglieteli in un pentolino con del Grand Marnier. Attenzione a tenere il fuoco bassissimo, perché se si mette a bollire la salsina, diventa una schifezza.
Prendete una ciotolona e mettete prima il frullato di fragole. Poi unite la gelatina col Grand Marnier e, in ultimo, panna montata o yoghurt (dipende dal livello di libidine che volete raggiungere!), mescolando piano piano, anzi... "incorporando", che rende meglio l'idea.
Ora è il momento di riempire lo stampino da semifreddo, che avrete prima bagnato. Perché si bagna lo stampino? Perché questo è il momento in cui la mousse dovrà stare in freezer per circa tre ore, e quando la tirerete fuori, e vorrete assaltare il dolce, questo tronchetto di felicità opporrà una strenua resistenza a farsi divorare, prima di tutto restando tenacemente attaccato allo stampino: allora basterà immergere (per poco) lo stampino in acqua bollente, per far sciogliere il leggero strato di ghiaccio che avrete ottenuto con il semplice accorgimento di cui stavamo parlando poco prima, e dopo ciò la mousse si adagerà docile sul piatto da portare in tavola, e voi la potrete decorare con le fragole che avevate tenuto da parte (se sono riuscite a resistere nel frattempo alle varie morsicate delle locuste che vi girano in cucina).
Fragola è il mio gusto di gelato preferito. O il mio gusto preferito del Chupa Chups. Nel pieno del fragore del concerto dei Settlefish, il tecnico delle luci si gira, sognante, verso di me, catturato dall'aroma inconfondibile del lecca-lecca più diffuso al mondo, che stavo suggendo con fare meditabondo, cercando di capire come mai il miglior gruppo live italiano stia suonando davanti a 30 persone. Mi giro anche io, per aver percepito quello sguardo insistente sopra ai decibel del concerto: barba, aspetto rude, lui è quello che lavora mentre tutti si divertono. E mi chiede un Chupa Chups, con lo stesso tono di chi ti chiede una Luckystrike (Smells Like... Strawberry Spirit?). Stiamo lì sopra in piccionaia, mentre lì sotto il concerto esplode, coi nostri lecca-lecca alla fragola, accucciati sulle assi come se fosse una capanna di legno, sopra gli alberi, come i rifugi dei bambini.
E ancora baci al sapore di fragola nei messaggi di una bimba che sta provando a crescere, e non riesce a capire se l'uomo che sta dall'altra parte del telefono è vero ed in carne ed ossa, o è solo un poster attaccato alla parete di una cameretta.
E ancora "fragola" è il lucidalabbra del primo appuntamento. Me lo ricordo, il mio primo appuntamento. Ricordo la paura di fare brutta figura. Ricordo il bracciolo della portiera della macchina, afferrato inconsciamente con troppa forza per assicurarsi una via d'uscita: ma anche l'attrazione verso quella pelle appena rasata, quei capelli confinati alle buone maniere da molto molto gel, quella canzone casuale (ma non troppo) che usciva dallo stereo a cassette (Every Breath You Take). Dunque, anche lui aveva perso un sacco di tempo per prepararsi! Anche lui aveva immaginato questo momento, con la canzone perfetta! Anche lui aveva paura, ma non avrebbe voluto essere da nessuna altra parte!
Ora lei è lì, ed è tutto il pomeriggio che scruta ansiosa lo schermo del telefonino, e passa dall'euforia più totale, all'ansia di una parola capita male. Non sa cosa fare. Non sa cosa mettersi. Il primo appuntamento nel pieno fulgore dei suoi 20 anni. Passa il tempo, e si pensa che le cose non diano emozioni altrettanto forti, come un primo appuntamento, come un balzo nel petto per un messaggio arrivato, o una faccia riconosciuta al volo in mezzo ad altre cento. E invece mi scopro ancora davanti allo specchio, per farmi carina. Con un lucidalabbra alla fragola. Non è come il primo appuntamento, perché ora la paura ha assunto forme più strane e subdole (E se fosse diverso da come vuole farmi credere? E se io mi fidassi di lui?), ma la paura è rimasta intatta. E' rimasta lì anche l'emozione: ce l'ho ben presente il primo bacio del Gigante, che mi ha infiammato dalla testa ai piedi. E non è certo stato un bacio tra diciottenni!
Celami in te, dove cose più dolci son celate, fra le radici delle rose e delle spezie.
Più che il Tempo delle Mele, mi pare una primavera da Tempo delle Fragole.