Informazioni personali

La mia foto
Spezzano, Modena, Italy
Inguaribilmente energetica, e contagiosa.

29 maggio, 2012

QUALSIASI POSTO DOVE SI VA E' PIU' PERICOLOSO DI QUELLO DOVE SI ERA UN MINUTO PRIMA



Stamattina mi sono alzata presto.
Udienza alle 9.00 a Modena, per me, vuol dire levataccia all'alba.
Ma non tanto per la distanza: è il rito della preparazione, perché dal Giudice ci si va vestite bene, e pettinate, e truccate.
Mica come di solito, che sembro uno spaventapasseri..
Mi infilo nella Pallina, che ormai stenta a contenere me e il mio dolce pallone ovale che mi porto ovunque.
A buco su Radio Maria, che ormai è diventata la mia radio preferita (stamattina poi ha regalato: Don Livio parte con un memorabile "Per fortuna che c'è stato lo scandalo nel mondo dello sport, così i giornalisti si possono dividere tra i campi da calcio e San Pietro!").
Arrivo a Modena, sui pilastri solidi di cemento del parcheggio (Enzo) Ferrari.
Spengo Radio Maria, chiudo la Pallina, e inizia il balletto.
Sembra proprio un tip tap, laterale, con le mani annaspanti cercando di riposizionare l'equilibrio.
Rapido sguardo intorno: la vocina del buon senso in caso di allarme dice NO-ASCENSORE, e allora via dalle scale.
Ma si è già tutto fermato, anche se respiro solo quando vedo il cielo fuori.
Prendo la bicicletta, che mi tengono quelli del parcheggio in custodia, per andare verso il centro.
Lungo la via Emilia sembra un giorno di festa, perché tutti sono per strada.
Ma non ridono, non parlano. Solo si guardano intorno, con l'espressione un po' smarrita dalla paura.
Anche in tribunale sono tutti fuori.
Con una bella livellata di classe, di ceto e appartenenza, mischiati tutti: giudici, donne delle pulizie, avvocati, impiegate, ufficiali giudiziari.
Anche la Presidentessa del tribunale se ne vaga impettita, a braccetto con il Giudice tutelare, dispensando muti cenni di saluto alle due ali di popolo che si aprono al suo passaggio.
Passano i minuti.
Non succede niente.
E i primi si avventurano lungo i gradini di ingresso del tribunale: perché non sanno bene cosa fare. Devono magari depositare un atto urgente, e la scadenza del termine pare più pressante di un terremoto.
Ma non c'è nessuno dall'altra parte, per timbrare di aver ricevuto quell'atto.
E quindi stanno lì, sventolando quelle pagine inutili, in corridoi che rimbombano di silenzio.
Io vado verso la biblioteca: il Giudice è già lì, che sorride come se nulla fosse.
Tanto, dice, qualsiasi posto dove si va è più pericoloso di quello dove si era un minuto prima!
Mentre stiamo avviando la discussione sulla causa, i muri tremano di nuovo.
Un avvocato di Carpi prende la porta, senza tanti complimenti e senza chiedere con permesso!
Il Giudice guarda noi, e dice 'Se volete possiamo continuare, tanto io ero in Irpinia nell'80'!
Massì, qualsiasi posto dove si va è più pericoloso di quello dove si era un minuto prima.
Finiamo l'udienza, usciamo di nuovo.
E di nuovo la bicicletta.
E' così bello, questo sole, e fa contrasto con l'aria pesante che si respira a terra: aria di paura. Aria di attesa.
Tanto vale: decido di andare in piscina.
Così Leonardo, per un po', sarà sollevato dal peso mio, e di questa aria così densa.

28 maggio, 2012

AMO LA RADIO PERCHE' ARRIVA DALLA GENTE


La radio è diversa da tutto il resto, perché occorre immaginare.
Immaginare che ci siano le pareti foderate dalle copertine dei dischi, dal pavimento fino al soffitto.
Immaginare una ragazzina di vent'anni, con i capelli tagliati corti sulla fronte, e gli occhi sempre in movimento.
Immaginare una maglietta consumata di un concerto lontano, di un gruppo amato e sconosciuto.
Immaginare un microfono sospeso su una postazione comandi, come la plancia di una nave.
Immaginare l'odore di fumo e sudore, stratificato dagli anni.
Immaginare di isolare il resto del mondo, quando si infilano le cuffie, e provare la voce, per sentire come sarà sentita tra pochi secondi.
Immaginare l'adrenalina che corre, tutte le volte, mai uguale a quella dell'altra volta.
Immaginare tutte le persone dall'altra parte, collegate da una traccia invisibile, eppure sparpagliate in ogni angolo di paese, in macchina, a casa, in ogni dove.
Immaginare che tutto questo è solo immaginato, e non conta niente per tutte le persone dall'altra parte: conta solo per una ragazzina, che in quel momento soffia via i capelli dalla fronte, prende a due mani la plancia di comando, dà l'ultimo sguardo al tempo rimanente che scorre sul display.
Immaginare la fine del pezzo, l'istante di silenzio.
Immaginare una sigla.

21 maggio, 2012

CONTRO I TERREMOTI, NON GIOVANO NASCONDIGLI



Ve lo scrivo, nell'unico modo che conosco per poterlo raccontare.

Sabato notte io ero a casa da sola (l'Omone ha pensato bene di andare a Londra a vedere la finale di Heineken Cup).
Alle 4 mi son svegliata con la sensazione che ci fosse qualcosa di strano..
Subito, nel dormiveglia, davo la colpa al pupo, e dicevo: "Ammazza se tira calci, stanotte!".
Poi, ho capito che il pupo non c'entrava: ho aperto gli occhi e ho visto che TUTTA LA CASA STAVA TRABALLANDO!
Mi sono catapultata fuori dal letto, per uscire fuori, scalza..
I cani erano già all'aperto, ma non ululavano, non abbaiavano: giravano solo in tondo, come impazziti.
Si sentiva, nel silenzio della montagna, come un rombo di tuono, in lontananza, ma continuo...
Tutto è andato avanti per un'eternità, in realtà non era più di un minuto.
Poi si è fermata ogni cosa.
La casa di fronte (disabitata) aveva una crepa, che adesso la taglia trasversale per tutta la lunghezza, come una ferita.
I cani mi guardavano. Io guardavo la casa.
Mentre tremava tutto, ho pensato, lucidamente: "Bada te, mi tocca morire mentre lui è lontano..."; poi, passata la scossa, questo pensiero mi ha fatto ridere..
Ho aspettato sui gradini di casa, per un po'.
Poi non succedeva niente, e sono tornata dentro. Sul divano, che è proprio attaccato alla porta d'ingresso.
Alle 7, sono cominciati ad arrivare i messaggi...
"Tutto bene? Tu stai bene? E il bambino?".
Io, ancora intontita dalla levataccia brusca della notte, non capivo.
Poi ho acceso la televisione, verso le otto, e ho visto...
Sono andata giù verso la pianura, con la macchina, dai miei.
Brutta sensazione: non sentirsi a casa, neppure a casa.