A Verona si mangia il risotto col tastasàl.
“Cos’è?”, chiediamo all’iperattiva cameriera, che continuando a prestarci orecchio, prepara la tavola, restituisce ai nostri vicini di tavolo un pupo che si era intrufolato gattoni sotto una sedia, allunga il carrello dei dolci ad un altro cameriere sfarfallante che lo prende quasi al volo, schema consolidato e provato più volte, a giudicare dal risultato.
Il tastasàl è un impasto di carne macinata, e insaporita con sale e pepe nero grosso frantumato (quello che si mette dentro al salame, per intenderci). Lo si usa per il ragù, soffritto a parte con cipolla, burro e uno spicchio d’aglio schiacciato (che bisogna trovare, alla fine, e fare sparire dal piatto prima di servire). Il riso cotto nel brodo e aggiunto al ragù di tastasàl. Il risultato è un piatto molto ricco, che non si sa se ci sia più carne o più riso: e, in ogni caso, sono in quantità abbondante entrambi.
Il Gigante mi guarda sorridendo da sopra il suo piatto fumante, già pregustando anche la carne salada che gli sarebbe arrivata di lì a poco. Il litro di lambrusco che abbiamo davanti è solo la chiosa di una giornata spiritosa (proprio nel senso di “spirito”) iniziata dal primo pomeriggio.
Com’è riconoscersi?
Vedo la mia piccola pupa che mi riconosce e mi sorride per la prima volta, sotto quell’arcata prodigiosa di riccioli che si ritrova in testa.
Sento l’odore del Gigante nell’incavo tra il collo e la spalla, la prima volta che l’ho abbracciato, con la consapevolezza che quell’odore avrei voluto sentirlo ogni mattino ed ogni sera della mia vita.
E’ la sensazione di calore entrata nel rifugio a Febbio, ondate di neve in vapore acqueo, emanazioni di pelle riscaldata, e speck insieme a formaggio, uguale identico all’aria che accoglieva chi entrava in casa dalla zia Giovanna a Montebaranzone, con le dovute differenze di altitudine.
E’ quel marcantonio che si sbraccia in un parcheggio a Verona, per venirci a pescare in mezzo al traffico, appena giunti in città.
Ci siamo trovati per vedere una partita di rugby. “Ma come?! Non giocava a Cardiff, l’Italia?”, e vai a spiegare alla gente il motivo per cui da Modena ci si prende la briga di macinare autostrada per vedere una partita in televisione che avresti potuto tranquillamente vedere sul tuo divano.
“Ma sono tuoi amici, quelli di Verona?”: altro aspetto controverso.
“Ma sono tuoi amici, quelli di Verona?”: altro aspetto controverso.
Per la verità, solo uno è di Verona: gli altri sono stati chiamati all’adunata dai posti più disparati. Alcuni di essi non li ho mai visti, altri una volta, di sfuggita, altri due volte. Ma ci mandiamo messaggi sul telefono in piena notte. Si sono inteneriti davanti alla foto di mia nipote. Ci parliamo tutti i giorni. Come dire: ci siamo riconosciuti.
Ma di preciso, cosa si fa in quel pub che ha aperto quasi apposta per voi, lì a Verona?
Si sta bene, tutto qui.
L’Italia prende una seria lezione di umiltà dai dragoni.
Il gallese che prova ad entrare in bagno dopo la partita, si eclissa alla velocità della luce, appena si vede circondato da due italiane alte come le torri gemelle, che pare abbiano intenzioni bellicose nei suoi confronti.
Ma di preciso, cosa si fa in quel pub che ha aperto quasi apposta per voi, lì a Verona?
Si sta bene, tutto qui.
L’Italia prende una seria lezione di umiltà dai dragoni.
Il gallese che prova ad entrare in bagno dopo la partita, si eclissa alla velocità della luce, appena si vede circondato da due italiane alte come le torri gemelle, che pare abbiano intenzioni bellicose nei suoi confronti.
E le birre intanto girano sul bancone, anche quelle sgasate, a pompa (il barista ha pudore, a chiamare le cose con il loro nome: i forumisti un po’ meno..), che se ne possono bere di più.
Della partita tra Irlanda e Francia, ricordo poco o niente: ricordo che eravamo lì, invece, molto impegnati a cercare di fare la posizione yoga dell’albero. Torniamo verso il parcheggio per salutarci, con un ultimo giro di brindisi, cantando le canzoni dei Pogues sotto le mura di fortificazione della città.
“Possibile mai? Vai a Verona e non vai a vedere l’Arena?”.
Della partita tra Irlanda e Francia, ricordo poco o niente: ricordo che eravamo lì, invece, molto impegnati a cercare di fare la posizione yoga dell’albero. Torniamo verso il parcheggio per salutarci, con un ultimo giro di brindisi, cantando le canzoni dei Pogues sotto le mura di fortificazione della città.
“Possibile mai? Vai a Verona e non vai a vedere l’Arena?”.
Bah, la mia guida non mi ci ha portato.
E se la mia guida non mi ci ha portato, aveva sicuramente i suoi buoni motivi.