Informazioni personali

La mia foto
Spezzano, Modena, Italy
Inguaribilmente energetica, e contagiosa.

17 dicembre, 2009

NON E' UNO STINCO DI SANTO

Il mio macellaio si chiama Geronzio.
(e già il post potrebbe finire qui, ma andiamo avanti)
A Spezzano, per la verità, i miei macellai sono due, ma l'altro è solo un macellaio equino, e lo vedo più come una necessità. Quando i valori di ferro nel sangue scendono sotto i livelli di guardia.
Quindi non ci vado con la stessa spensieratezza gaudente che ho quando varco la soglia di quell'altro paradiso del colesterolo!
Sì, perché la bottega di Geronzio non è di quelle bianche e metalliche, con l'odore di sangue nell'aria, e qualcosa di truce nei coltellacci.
La bottega di Geronzio è uno dei tre posti più belli del mondo.
E gli altri due sono casa mia ed il campo di rugby...
La bottega di Geronzio ha gli scaffali che tracimano di olio al tartufo, ragù di cervo e cinghiale, grissini avvolti nel lardo, caciotte e trecce di rafia con agli e peperoncini.
Entro e saluto la mamma di Geronzio, seduta composta alla cassa, col suo grembiule da rezdora, immacolato, e la messa in piega candida fatta di sbuffi di paradiso. Pigia i tasti del registratore con l'indice e basta, dopo che ha fatto i conti a mano. Ripone i cartocci odorosi lei personalmente nelle sportine, dispensando benedizioni e consigli per la cottura dei cibi.
Geronzio vola con le mani sui filetti e sulle cordate di salsiccia, e usa i coltelli come neppure i maestri giapponesi sanno fare! Mi chiama Laura da una vita. Non è che non glielo abbia fatto notare più di una volta: è che non concepisce il mio nome. Così lo lascio fare, rassegnata.
Stasera si fa perdonare una breve attesa (sta scegliendo le fiorentine con l'osso da dare al cliente mio predecessore, e immagino sia una cosa molto impegnativa) tagliandomi una sberla di formaggio pecorino spessa due dita, come tappa-fame.. Tanto formaggio così penso che corrisponda ad una mia dose di una settimana, ma sto zitta e mangio. E' saporito, ma non invadente, e lui indovina approvando: "No, no, io quelli troppo piccanti non li tengo neanche!..".
Tocca a me: stasera voglio fare lo stinco di maiale al forno. Si infervora tutto: "Brava, brava, Laura, mica come quella roba precotta.. Questi qui sono tagliati proprio vicino al prosciutto! Va' che roba...". E mi allunga uno stinco, come anteprima. Mi chiede: "Te li taglio per il lungo o in orizzontale?".
E la mamma di Geronzio tuona dalla cassa: "Per l'amor di dio! Quelli lì vanno tagliati per il lungo!". E non ci provo neanche, a contraddire la mamma, anzi.. Mi studia ancora: "E come li fai?". Con le patate, aglio e rosmarino, allungando la cottura con un mezzo bicchiere di vino bianco. Si tranquillizza, che gli stinchi finiscono in buone mani.
Li faccio spolverare dalla cunza di Geronzio, il suo preparato speciale con sale, rosmarino, aglio e ingredienti segreti di cui non azzardo neanche a domandare notizia. Faccio mettere nella sportina anche due etti di quel pecorino meraviglioso (anche se credo di averne mangiati molti di più con l'assaggio di prima...), e saluto mamma e macellaio, riprendendo la strada per la montagna ormai innevata.

27 novembre, 2009

MORSO DI DENTRO E INFUOCATO DI FUORI DALLA STRETTA FISSA ED INESORABILE DI UN'IDEA INCURABILE



"Morso di dentro e infuocato di fuori dalla stretta fissa ed inesorabile di un'idea incurabile".

Qualcuno si toglie il pensiero, e decide che il Capitano è quello con più presenze in una squadra.
Per altri, è il risultato di una scelta consapevole della squadra. O dell'allenatore. O della società.
Per me, è sempre stato così.

Capitana da quando sono giocatrice. Non è una fascia. Non è la "C" a fianco del tuo nome nella lista dell'arbitro. E' lo sguardo addosso di chi chiede aiuto. E' la mancanza di tempo utile per prendere una decisione. E' istinto. E' volontà. E' una sensazione che va oltre il gioco.

E poi c'è il silenzio.
Il silenzio carico dei luoghi dove si fa sport.
Che quando lo sport c'è, c'è anche il battito della competizione, la velocità, lo strepito della rabbia, l'esplosione della gioia e della delusione.
Quando non c'è nessuno, invece, si sente il silenzio dello sport.
I pali verso il cielo, che infilzano la nebbia.
L'erba gelata che crocchia sotto i tacchetti.
L'eco di battaglie già disputate.
Le docce vuote e le panchine sgombre.
Solo quando non c'è nessuno, smetto di essere Capitana.
E' per quello che lascio sempre andare via tutte, alla fine dell'allenamento.
E' per quello che amo il tonfo sordo prima della parabola dell'ovale tra i pali.
E' per quello che aspetto, sotto il getto dell'acqua, ben oltre il tempo che mi sarebbe necessario per togliere il fango dalla pelle.
Pesa come un macigno, quella fascia, alcune volte.
E il silenzio dello sport, stavolta non consola.

29 ottobre, 2009

TAGLIA LA TORTA IN MODO CHE OGNUNO PENSI DI AVER AVUTO LA FETTA PIU' GROSSA

Prendi la terrina di vetro. Quella grande, che i mostriciattoli hanno una fame da lupacchiotti, alla mattina presto.. Va riempita metà con la farina, e in più va un altro terzo di zucchero. Due uova. Un etto di burro fuso. Una dose di lievito vanigliato. Tutto in mezzo alla farina e allo zucchero, mentre con un braccio cingi amorevolmente la terrina, e con l'altra mano lavori, a spirale, con la forchetta l'impasto, per inglobare la farina alla roba molle. E quando l'impasto diventa troppo solido per essere lavorato con la forchetta, si aggiunge latte.
Alla fine hai una crema, gialla. Invitantissima. Sbucci due mele, levi i torsoli, e spacchi in quattro spicchi il frutto. Poi tagli ancora la mela a fettine sottili, e mescoli con la crema. Poi versi tutto nella teglia della torta, imburrata, e inforni a 180 gradi. La terrina di vetro diventa la preda del dito indice di Ennio. E in casa, dopo circa venti minuti, si sente quel buon odore di torta di mele che rimane per tutta la giornata.
La torta di mele si fa il sabato sera.
Si prepara già un bottiglione gigante di té superzuccherato. Almeno 15 bicchieri di plastica, perché si spera che vengano tutti. Il coltello per tagliare la torta. Questa, appena raffreddata, va dentro la pellicola, e dentro la borsa.
E' la colazione dei mostriciattoli: perché quei somari non mangiano, la mattina.
E' ancora buio, alla domenica presto, quando andiamo a prendere uno ad uno i nostri "piccolotti". Uno ad uno escono dalle loro case calde, e tengono una mano in tasca ed una per il borsone. Hanno tanto sonno, poveri.. Quelli che sono rimasti a letto, finiscono di mettersi le scarpe già saliti sul furgoncino. E pian piano il furgone si riempie, e diventa sempre più rumoroso. Ti vogliono fare ascoltare l'ultima canzone che hanno imparato a memoria "Secsibbbicc'!!!".. Ussignùr.. Proprio quello che ci vuole! Un po' di house alla mattina presto, per mettersi di buon umore nei confronti del mondo.
E la prima tappa è sulle tribune del nostro campo.
Ancora la rugiada sull'erba.
E tiro fuori la torta.
Sono già grandi.
Vogliono fare i bulli.
Ma appena vedono la torta fanno gli occhi grandi, e sgomitano per avere la seconda fetta.
Io spero che quella torta li faccia volare, oggi, col pallone in mano.
E se anche non volano, beh, almeno avranno fatto colazione! E' già qualcosa..

25 settembre, 2009

MY BODY, THE HAND GRENADE


Pompa, pompa!!!
Ehy, voialtri su al piano di sopra, lo vogliamo dare un po' d'ossigeno a questa vecchia carretta?
Che poi, io mi domando: a che serve che mandi tutte quelle piastrine bianche, a riparare la pelle, se poi non faccio in tempo a tenere dietro a tutti questi sbraghi?! Un graffio di qui, un graffio di là.. Bella roba: ci vuole un capitale solo per evitare che si infettino.
Che poi, fosse brava, lei.. Non è che si tiene dietro, e mi aiuta un po' col disinfettante! Macché. Arriva poi Ennio, due o tre giorni dopo, con l'acqua ossigenata. Che ormai il danno è bello e fatto. Provaci te, a far cicatrizzare, tutto contemporaneamente..
E mi arriva fuori anche con degli extra: tipo le bruciature del forno, che non vanno via neanche a spalmarci gli unguenti speciali della mamma dell'Olga.
Che succede là?
Pochi liquidi?
E ti credo!
Quella cretina non beve acqua.. Quando le altre se ne vanno a bere, lei prova i calci.
E io cosa uso, adesso?
Le spremo il cervello?
Bella forza.. Di lì non si cava niente di buono.
Anzi, fammi guardare...
Macché. L'ha proprio staccato, il cervello.
Basta che si metta a saltellare su quel campo verde e non capisce più niente.
E senti che friccicore, con tutta quell'adrenalina in circolo!!
Ma dico: se si desse una buona calmata?..
Mi avevano detto, all'inizio "Vai tranquillo! Ti è capitata una ragazza.. Bella fortuna. Quelle si tengono con cura, e al massimo patirai un po' per le diete dimagranti. Ma in generale è una pacchia!".
E invece, questa qui sembra una pazza: beve birra come un lavandino, dorme poco, e GIOCA A RUGBY! Cioè, vi rendete conto? Una ragazza che gioca a rugby.
La prossima volta voglio il corpo di un uomo che gioca a calcio. Almeno so cosa mi aspetta..
E per fortuna che ha smesso di fumare, 'sta disgraziata!

OMMMIODDIO!
E adesso cosa succede?
Cos'è tutto 'sto casino??
Allarme rosso al piano di sotto..
Ma che cosa è successo?!
QUALCUNO VUOLE DIRMI CHE DIAVOLO STA SUCCEDENDO??
...

No.
No.
Una frattura..
Dai, chiudete il canale lacrimale. Dobbiamo usare i liquidi per ben altre cose.
Ora sì che ci sarà da lavorare.
Mettetevi tutti ai vostri posti, che ci sarà bisogno di fare gli straordinari, stavolta.

Ehy, ci sei?
Lara, mi senti?
Dai, smetti di piangere, che non succede niente.
Adesso bisogna che mi fai un favore: bevi tanto latte, e mangia formaggi.
Al resto ci penso io.
Però smetti di piangere adesso..
Che non sei mica più una bambina..

11 settembre, 2009

INTELLIGENT APPEAL



Un richiamino, per quelli che cominciano a leggere il blog solo ora.
Mi chiamo Lara.

Bevo cose orribili, che fanno storcere il naso a tutti i ristoratori: il Campanone Reggiano, il Radler, il Pimm's.
Salto la colazione, e il mattino dopo, magari, mi faccio anche le uova con la pancetta.
Sono affezionata alla stessa marca di lievito di birra da più di vent'anni.
Metto le patate in frigo. Orribile.
Uso la Saba dentro l'insalata.
Il barattolo che mi dura più tempo è sempre quello delle acciughe.
Prendo le confezioni giganti di yoghurt, salvo poi arrabbiarmi moltissimo quando lo trovo un po' addensato sui bordi e vicino al coperchio.
Non rimarrà mai un mezzo limone, in giro per la cucina. Coperto con un foglio di domopack, o infilzato di chiodi di garofano: non ricordo neanche più a cosa dovrebbe servire, questo ultimo espediente: forse a tenere lontano le mosche?
In compenso, ho sempre almeno un dito di caffè avanzato dentro la moka.
Non ci sono mai abbastanza cucchiai.
Apparecchio con largo anticipo. Lascio apparecchiato il più possibile. Tengo sempre la tovaglia sul tavolo, anche quando non si mangia.
Non so perché.
E' una paura lontana, che va anche al di là della fame.
E' la paura di essere soli.

Siamo ancora sul campo, dopo questa estate-non estate.
Faccio finta di niente: lego il ginocchio così stretto da non far neppure circolare il sangue.
Ci prendiamo le misure.
Nuove facce, e vecchie facce che cerchi e non sono più lì.
L'ovale è sempre quello, però.
E sempre starò lì, fino all'ultimo minuto.
Quando spengono le luci del campo. E tutti sono già lavati, già riposati, già con la birra in mano, sulle sedie fuori dagli spogliatoi. Bella, l'aria dopo l'allenamento. Fa ancora caldo, di sera.
Esco coi capelli attorcigliati, che girano sulle spalle come riccioli di vite, ancora bagnati.

E non sono sola.


Uh, e Gianca ha vinto il P.I.M.I. 2009: bravo fratellone!...

27 agosto, 2009

TIMBALLO DI COUS COUS CON LE VERDURE


"Oggi ho voglia di cucinare à la nouvelle cuisine". Che detto così suona un po' come: "Fàmolo strano...".
La clientela affezionata del ristorante (uno, ma grosso), non pare eccessivamente sconvolta dalla notizia. Anzi, accenna un gesto di favore: una grattata di pancia col telecomando.
Ore 12.12.
Io comincio con la cottura del cous cous. E fin qui, tutto bene. Poi il cous cous va saltato in padella con un soffrittino di cipolla, 5 minuti soli. Poi coperto con un brodino vegetale, e lasciato riposare (che significa: lasciare che il cous cous si beva tutto il brodino. Non troppo brodo, mi raccomando, che dopo il timballo si sfracella al primo tentativo di sformata).
In un'altra padella vanno arrostite quattro fette di prosciutto ridotte a strisce. Devono diventare belle croccanti: fate conto di avere a disposizione dei Rodeo della San Carlo, però fatti con il prosciutto invece che col mais.. (come mai così tanto prosciutto? Perché metà finisce nella pancia della cuoca prima della fine della ricetta)
Mattete a parte le strisce, che facciano compagnia al cous cous, e tenete buona la padella con cui avete arrostito il prosciutto. Dovreste avere a disposizione un bell'olio arricchito con il grasso disciolto del salume. Tagliate a cubetti due carote, due pomodori e un peperone giallo.
Prima rosolate le carote nella padella del prosciutto, e dopo 5 minuti unite anche pomodori e peperone. Un po' di basilico e pepe. Lasciate evaporare il liquido dei pomodori e del peperone, e a cottura ultimata fate raffreddare un poco. Metà delle verdure si mescolano al cous cous. Poi prendete delle formine piccole, tipo quelle dei muffins, e ci mettete dentro il cous cous arricchito con le verdure, ed un poco di formaggio grana grattugiato, pressando ben bene. Mettete le formine in frigo per un'oretta.
Ore 13.50.
Scelgo i piatti quadrati, che fanno tanto nouvelle cuisine. Ribalto la formina con fare sapiente, ad un lato del piatto quadrato. Rovescio sopra lo sformato il resto del sughetto di verdure, e infilzo il prosciutto sulla cima del cous cous come tante bandierine.
L'effetto scenico è veramente notevole, devo dire.
Ennio posiziona lo sformato sulla forchetta e... glop! Ne fa un unico boccone. "Buono!".
Ore 13.55.
Guardo la pila delle padelle sul bordo del lavandino, e noto che mi è passata la voglia di cucinare à la nouvelle cuisine.

11 agosto, 2009

POLPETTE



Polpette.. polpette.. polpette!

Quant'è bello anche solo da dire. Una montagna di polpette. Una caterva di polpette. Una marea di polpette. Le metto lì in fila sopra la teglia, come tanti soldatini. O le affondo nel sugo di pomodoro. Uguale: l'importante e che siano tante.

La ciccia è quella della mucca (deceduta per cause naturali, mi assicurano) della zia di Ennio. Non so come sia, ma è come avere a che fare con il macinato infinito.. Ragù, polpette, ripieni. Oh, 'sto macinato non finisce mai!

Ne ho preso una bella tegliata, stavolta. Due uova. Pane grattugiato (e anche qualche tigella, grattugiata, se sono avanzate) e formaggio a profusione. Un po' di sale e basilico, erba cipollina e prezzemolo. Poi comincia la pacchia.. Tutta questa polpa smanacciata per bene, dentro alla terrina. Non è il fatto di mescolare, di per sé. E' il gesto di sporcarsi le mani ben bene: ci sono arrivata col tempo.. E il fatto di fare tante palline. Come i giochi che si fanno sulla spiaggia..

I miei amici lo sanno bene: appena arrivo sul bagnasciuga, regredisco ad uno stadio infantile, e comincio a paciugare con acqua e sabbia. Lunghe ore di straniamento, per poi arrivare al risultato finale, che non è mai un castello: la forma da spiaggia più gettonata è il "culo da spiaggia". Modello due chiappe monumentali, come se ci fosse un corpo semi-seppellito a pancia in giù. Solo le terga, parte delle gambe e la schiena. E tutto il resto sprofonda nel terreno.

Il resto dello spettacolo è sedersi in parte, e guardare le reazioni di quelli che passano. Ci sono quelli che si accorgono all'ultimo momento, e fanno dei salti pazzeschi, per la paura di calpestare un cadavere. O quelli, più sportivi, che mimano il gesto di accoppiarsi con la mia creatura..

Ultimamente, per adattare le opere alla visione dei più piccini, ho adottato la formula "sirena da spiaggia": si modella la parte di sotto con la sabbia e, nascondendo le gambe nel buco ottenuto per creare l'opera, si ottengono notevoli effetti scenici.



Prossimamente è in programma il "polipo da spiaggia".
E sempre prossimamente, a forza di polpette riuscirò anche a finire il macinato della zia di Ennio..

29 luglio, 2009

UNIDENTIFIED KNEE'S OBJECTS



Il dottore di Udine è un dottore-pilone che esplode dentro il camice.
Rendo l'idea?
Testa ad uovo, e collo che prosegue armoniosamente senza interruzioni la linea della mascella..
Ha appese ai muri tutte le figure canoniche delle articolazioni, oltre ad una monumentale foto incorniciata di una mischia epocale: solo una spaghettata di gambe!
Mi palpa il ginocchio come se impastasse una pizza.
Mi pianta sul lato, a tradimento, una siringa con un ago grosso come il mio mignolo.

AAAAAAAHHH!
Fa finta di non sentire, e tira..
Ma non esce nulla.
AAAAAAAHHHH!
Smette di tirare, impietosito.
Impreca.
Quindi?

Nulla: ho questo gnocco di sangue coagulato, dentro al ginocchio.
7 centimetri, per 2, per 0,5...
Il ginocchio sta cercando di resistere al corpo estraneo, e devo dire che fino ad ora è anche stato piuttosto bravo. I legamenti sono ispessiti, ma integri. Il menisco regge.
Ma non durerà così in eterno.
Così mi dovranno aprire, togliere il gnocco con il cucchiaino, e richiudere.
Non sembra neanche così brutto.
Il piatto tibiale si è calcificato come si deve. Per una botta di culo, visto che ho continuato bellamente a picchiarci sopra.
Bah, ho preso della cretina anche dall'ortopedico.. mi mancava anche questa..
Intanto, faccio amicizia con una ginocchiera nuova di pacca, molto trendy: sembra la Lotus di Senna, tutta nera con le rifiniture in oro, e ogni volta che il ginocchio arriva al limite della flessione, mi ammonisce con un severo "toc" di fine corsa.
Intanto la vita scorre tranquilla, nel Borgo di Calvanella. Ennio fa i buchi nei muri per appendere mensole. Gli uccellini del camino se ne sono volati via, lasciando il nido vuoto. Infine, tengo per buona questa particolarissima versione di un insalata simil-russa.
Tagliare a dadini quattro patate, due bicchieri di piselli, una manciata di cipolla triturata e due carote. Mettere a lessare in acqua salata arricchita con un mezzo dado.
Quando le verdure saranno intenerite a dovere, scolare (tenete il brodo da parte, che viene sempre comodo..) e lasciare raffreddare. Un filo d'olio, un po' di erba cipollina, e tre cucchiaiate di salsa tonnata.
Poi tutto quanto in frigo.
Proprio di fianco al sacchetto di gel refrigerante per il ginocchio.

08 luglio, 2009

ICE, YOUR ONLY RIVERS RUN COLD

(foto di: Fiammetta "Unforgettable Filini" Cosola)


Per la granita alla siciliana ci vogliono quattro bicchieri d'acqua, due bicchieri di zucchero e un bicchiere di limone spremuto (a cui bisogna togliere i semi). Bisogna far bollire l'acqua, dopo di che si scioglie dentro lo zucchero. Altri dieci minuti a bollire, poi va spento il fuoco e lasciato raffreddare. Alla fine si unisce anche il succo di limoni, messo il tutto in un contenitore rigorosamente chiuso e va lasciato in freezer per 24 ore.
Il giorno dopo bisogna rompere il ghiaccio (fuori di metafora, naturalmente) e va frullato tutto quanto. Poi di nuovo nel congelatore, e dopo qualche ora si mette ancora tutto di nuovo nel frullatore. Manca ancora un'ora, in cui mettere il preparato in congelatore, e finalmente la granita, bella cremosa al punto giusto, può essere servita.
Dicono che a Messina la servano insieme alla panna.
Io preferisco senza.
Un sapore semplice che ti arriva dritto al cervello, soprattutto se la mangi dopo un lauto pasto, in queste lunghe giornate afose senza rimedio alla calura.
Dall'altra parte dello stivale rispetto a Messina, ieri eravamo a Milano.
Sull'erba di San Siro.
A respirare l'umido, il calore e la calca di altre 77.000 persone.
Ricorderò con infinito terrore il tragitto in metro sulla linea 1, direzione Rho Fiera, dalla fermata Duomo a quella di Piazza Lotto. Stavo abbarbicata sulle spalle di Ennio come aggrappata ad una scialuppa in mezzo ad un fiume di lava umana.
Poi il ghiaccio, da chiudere gli occhi ed assaporare:
Walk on by
Walk on through
Walk 'til you run
And don't look back
For here I am
E dire che ne ho visti tanti, di concerti, fino ad ora.
Ma quel momento, quel preciso istante in mezzo ad altri mille istanti, era disegnato esattamente.
Ho fermato la corsa pazza, e mi sono vista lì.
77.000 teste, più altre 4 in mezzo alle altre.
Un'astronave fatta di moduli esagonali luminescenti.
Le gocce di pioggia che scintillavano sui fari giganteschi, sopra quel ragno alieno con le zampe conficcate sul prato di San Siro.
L'impressione dal mio punto di vista era veramente vertiginosa. Una spirale umana che si innalzava, fino all'ultimo anello, fino a non poter distinguere le singole persone.
E quelle note scavavano nella storia di ciascuna delle 77.000 teste.
L'unico che ha reso pubblica la sua storia è stato proprio Bono: quando ha chiamato sul palco la sua bellissima figlia, ormai donna, tradendo (volontariamente) una smagliatura umanissima nel personaggio di profeta/idolo/pigmalione, e dicendo che sua figlia, l'ultima volta che era salita sul palco, aveva tre anni.
Sono usciti così, semplicemente camminando a fianco, questi quattro amici che hanno passato insieme una vita, salutando con la mano.

24 giugno, 2009

NIDO

 
Uno sfarfallio d'ali, appena entrata in casa.
Da dove?
Mi ricordo, da piccola, che quel suono significava trovare un uccellino incastrato nella cappa, e che bisognava raccattarlo, sporco e impaurito, tirando fuori un cassetto di metallo incastonato nel muro, giù in lavanderia.
Quindi, memore dei passati soccorsi, mando Ennio a prendere una scatola da scarpe.
Il rumore veniva dal camino. Sopra? O sotto?
Pare di sotto, nell'anfratto dove si raccoglie la cenere.
Pensa te: un uccellino si è avventurato lungo il tubo che raccoglie l'aria per far respirare il fuoco, ed è arrivato fin dentro casa. Ma lo sfarfallio d'ali termina subito. Che l'uccellino abbia trovato subito l'uscita?
Alzo con cautela la grata, ed è lì.
Il nido.
Con cinque uova azzurrine già deposte all'interno.
Dentro al camino.
Dentro casa.
Ricopriamo tutto con cura.
Speriamo che l'uccellino non si sia spaventato, e che torni a covare i cinque ovetti azzurrini.
Coraggio: torna pure senza paura.
Che in questa casa ci sarà sempre da mangiare per tutti..

10 giugno, 2009

E UN ALTRO GIORNO E' ANDATO, LA SUA MUSICA HA FINITO, QUANTO TEMPO E' GIA' PASSATO E PASSERA'


E' successo proprio quando non ci stavo pensando.

In un momento banale, quotidiano, distratto come il gesto di sorseggiare il primo caffè pomeridiano.

Mio padre che indovina il mio sguardo assente, quello sguardo che non ha riconosciuto chi avrebbe dovuto conoscere: "E' la figlia di Piero e Paola".
Guardo di nuovo, senza passare attraverso i lineamenti del viso che mi sorride di fronte. Dietro il bancone, la ragazza che mi ha appena servito il caffè, è lei.
Era una bambina di 5 anni, petulante come sanno essere le bambine di 5 anni che nessuno considera, quando vogliono giocare.

E mi prende la vertigine.

Per quel pensiero che affiora senza volere. Per quella frase che ho sempre sentito dirmi da altre persone, e che non ho mai detto.

"Quanto sei cresciuta! Eri piccola così..."

E' una frase da vecchi. L'ho sempre pensato, mascherandomi dietro il sorriso radioso da ex bambina, sorriso largo e appagante per chi mi aveva appena parlato.

Ed ho pensato alla differenza tra la foto sulla patente e quella appena fatta, imbarazzata, per la carta d'identità. Ho pensato a quella ruga tra la guancia e il labbro. Ho pensato alle cicatrici. Ho pensato alla figlia dell'Elena. Ho pensato a mio padre e ai suoi capelli candidi.

Ho pensato al dolce-mattonella.

Era quello che la mia scomparsa nonna reggiana tirava sempre fuori per ultimo, facendo finta di essersi dimenticata, per provocare la nostra fintissima sorpresa.

Ora sarebbe definita una bomba di colesterolo come poche. Allora, e forse lo è ancora, era il dolce più buono del mondo.

Si prepara una crema col burro (tanto per cominciare bene): tre parti di burro e due di zucchero a velo! Amalgamando con due tuorli d'uovo, risulta un composto micidiale, di quelli che se non si lecca la terrina col dito, è un crimine.. A parte si prepara il "pavimento" delle mattonelle: sono un tappetino di Oro Saiwa, bagnato con caffè mescolato al Sassolino (se vi state chiedendo cos'è, vuol dire che non siete modenesi/reggiani. Nulla di grave..). Dopo aver posato il primo strato di mattonelle, via con uno strato di crema di burro, e di nuovo le mattonelle, e di nuovo la crema al burro, e si chiude con un ultimo strato di mattonelle.

Da mettere in frigo.

Per servire, si tagliano fette usando gli Oro Saiwa come unità di misura. In pratica si mangia una mattonella per volta.

L'ho visto l'altra sera, dopo la cena di fine anno al campo.

Alla festa dell'Unità (... pardòn, del PD) la servono ancora al ristorante Sassuolo (ma finisce subito).

Un'altra stagione è andata. Con l'età divento malinconica, si vede..

O forse è solo che dovrei mangiare più spesso il dolce-mattonella.

12 maggio, 2009

PUTTANESCA VACCHESCA!

Da fare rigorosamente quando Ennio non c'è, perché l'omone ha il radar per le minime tracce ittiche nei piatti. Tanto nordico da non sopportare neppure un accenno mediterraneo!..
E dire che è così sapida, consistente, appetitosa, e soprattutto.. rapida.
Cava d'impaccio in un sacco di occasioni da fame improvvisa.
Gli spaghetti sono pronti in un attimo, e il sugo si prepara prima che l'acqua abbia cominciato a bollire.
Bisogna tritare due spicchi di aglio. E spezzettare finemente 5 belle acciughe. Dopo si soffrigge l'aglio fino alla doratura, e si finiscono di dissolvere le acciughe nell'olio. Poi si mettono dei bei pezzettoni di pomodoro, capperi e olive nere intere (le greche sono fantastiche, per la puttanesca, ma anche olive taggiasche.. a preferenza). Non è da salare, perché gli ingredienti, già di per sè, tendono ad asciugare ogni presenza di acqua nel corpo umano!
Ho semplificato molto la cucina, ultimamente.
Perché sono impedita da vari orpelli tecnologici attorno alla mia gamba destra.
Fasciature, pomate, ghiaccio, stampelle, ginocchiere, tutori.
Mai dedicato tanta cura ad una parte del mio corpo!
Perché, finalmente, il mio caro ginocchio destro è riuscito ad attirare la mia attenzione.
In maniera un po' rocambolesca, magari: ma prima di ciò i suoi discreti avvertimenti non erano riusciti ad oltrepassare la soglia minima di mia considerazione.
Campo insidioso, quello di Sesto Fiorentino.
Pareva che le recenti piogge avessero addolcito la ruvida crosta di terra, ma ciò solo in superficie, purtroppo, ed ogni colpo rimbalzava forte e risaliva sulla caviglia.
E' bastato un minuto.
Un cambio di passo.
Il piede che si punta troppo bruscamente.
E quello scrocco sinistro che mi si ripropone in testa ogni notte, da quel giorno.
Da lì, la scena madre in campo!
(chiedo scusa per l'eccessiva teatralità)
Credo di aver mandato al diavolo anche la dottoressa che provava ad avvicinarsi, in quel momento. Poi, di nuovo, l'uscita prima della fine della partita. Uff...
Da lì è cominciato il dialogo, col mio ginocchio..
"Eh, va bene.. hai ragione tu. Adesso, però, cosa vuoi?"
E' decisamente un'articolazione permalosa: ora si rifiuta di sorreggermi, persino. Come se fosse in sciopero. Io provo a coccolarla in ogni modo, ma non mi dà retta.
Credo che non me la caverò a buon mercato, stavolta.
Ma che si può fare? Come dico a tutti quelli che mi vedono con le stampelle, e scuotono la testa, e si mettono la faccia di HAI-SBAGLIATO-SPORT...
Beh, le cose che si usano, si rompono.
Tutto qui.
Non c'è masochismo, o una qualche causa da sostenere.
Il problema è che in Italia c'è una cultura dello sport che fa schifo: si fa sport per sfogo, per divertimento, per uscire di casa. E le donne, poi... Ancora peggio. Si fa sport per dimagrire, per socializzare, per avere un argomento di conversazione. E non per il motivo più semplice.
Perché fa bene.
Perché fa stare bene.
E lo dico anche ora, con le stampelle.
Soprattutto ora: che dovrò prendere nuovamente le misure, con questo corpo. 35 anni, e non lo conosco ancora bene. Perché cambia, e semmai il problema è la mia testa, non gli dà abbastanza retta.
Smettere? Non se ne parla neanche.
Adattarsi, questo sì.

27 aprile, 2009

"GOLDEN OLDIES" QUART TORNEO INTERASIONAAL CITAT DI UDIN




 
Ho imparato che i cuochi preferiscono i Metallica. Sia Lucio/Balucio in piena crisi d’identità per troppi cambi repentini di nick-name, sia gli eroi del terzo tempo, che hanno sfamato 200 e più animali di varie nazionalità, per poi concedersi un pogo di fine serata come meritato riposo.

E si è aperto e chiuso così, il torneo: coi Metallica.

m.map & signora: i primi incontrati, ai piedi del palazzo ubriaco. E se il buongiorno si vede dal mattino, l’inclinazione di quell’edificio non doveva far presagire nulla di buono. "Mi raccomando, non mi fate sedere di fianco agli inglesi, che sono timida, e poi l’inglese non lo so parlare". Prova te a spiegare cos’è il frico ad un inglese/colombiano che gioca con gli Irish solo perché il campo è vicino a casa sua..

E soprattutto, non ha prezzo imparare la storia italiana in inglese. Chissà poi se si dice veramente Liberation Day?.. Mah, io so solo che se tua moglie la chiamano Santa Subito ci dev’essere pure un motivo molto valido..

E scoprire che il posto più sicuro al mondo per tenere i dischi, i tuoi bimbi più cari, è il retro di una affollatissima Land Rover, con targhetta di benvenuto in gaelico. Anche se poi, i dischi, li scaravolterai tutti per terra, più tardi, appena ti parleranno di matrimonio. Non sapevo che a Udine vendessero la Pravda veramente, ma solo settimanale.. E accorgersi che ti vergogni un po', far bere una Guinness italiana ad un irlandese. Avrai, comunque, sempre dietro le spalle la risata satanica della Fiammy, appena dirai una cazzata. Che succede anche abbastanza spesso, tutto sommato.

Non imparerai mai che un microfono, anche tenuto a distanza, fa sentire lo stesso le voci: e sei una dj, non una cantante. E puoi beccare al millesimo la battuta di un pezzo musicale, ma non sai cantare l'inno nazionale a tempo.. Rada, mi dispiace tanto per il tuo ginocchio: speriamo che per giugno il cocomero si sia sgonfiato. Altrimenti, lo metteremo sotto ghiaccio, e ne faremo un uso acconcio. Pulici, invece, deve neutralizzare a modo suo la maglia bianconera che è costretto, suo malgrado, ad indossare: niente di male, ma il risvolto è che, con un caldo assassino, deve comunque portare due maglie: bianconera fuori e granata a contatto con la pelle. Niente a che vedere con il nudismo dilagante della maggior parte dei partecipanti: il Dirigente Marckymax, che ritiene comunque naturale scorazzare in costume da bagno tra la gente dopo una partita: o ti vesti, o ti spogli del tutto e fai lo streaker come si deve, mica queste vie di mezzo che non sono né carne né pesce.. Pesce? Chi ha detto pesce? O il trenino dei francesi, che si tenevano con un guinzaglio di spago per le palle.. Fuori di metafora! Va beh.. Ho visto anche di meglio, tutto sommato.. O ci ho provato: perché se chiedi ad un inglese “Show me yours!”, il minimo che ti puoi aspettare è un’evidente alzata di sopracciglia! L’unico nudista giustificato era Delvy, che ha mostrato le sue grazie solo per poi essere immediatamente ricoperto con tutto il campionario del merchandising London Irish. Cicca, invece, ha imparato a fare il satellite lontano dal volume del mio mixer: e per questo si è guadagnato mezzora in più in consolle a Bologna (ma sempre col limitatore, beninteso!). Ho imparato che esiste una benedizione urbi et orbi per le camioniste, e si fa col prosecco. E che puoi mettere tutte le canzoni più belle del mondo, ma il riempi-pista più efficace rimane sempre un piccolo ed innocente momento lesbo.. Ho imparato che ci sono persone che mi riempiono il cuore di gioia, quando le rivedo. Tutte le volte. Ubo, ed Esse, e Zorry. Anche se, in mezzo al casino, si fa fatica a trovare un momento di calma e fare due chiacchiere. Ma va bene anche così: anche quando vedi da lontano che chiudono gli occhi, per cantarsi una canzone bella di Ivan Graziani o degli Skiantos, che non sentivano da un po’. E Phoebe, la facciamo o no, ‘sta squadra a XV? Che qui si fa notte, e tanto noi la maglia muccata ce l’abbiamo proprio sulla pelle, fatta con gli ematomi! Obbb, e tu spiegami come mai stamattina ho aperto la borsa e l’ho trovata piena di tette incartate colorate?! E tutti quelli sugli spalti, che macinavano le tessere gialle delle birre. Ma siamo sicuri che la Coppa Chiosco sia stata assegnata regolarmente? Perché ho visto che gli Urogalli avevano dato in appalto alcune tessere ai giocatori di Portogruaro e alle Fighters.. E allora?! Vi piace vincere facile.. Che poi, diciamocela tutta, la Coppa più ambita era proprio quella del Chiosco, mica quella che si giocava in campo!.. Ma nessuno lo aveva detto agli inglesi, che hanno strabuzzato gli occhi quando all’inizio della prima partita è atterrato il tavolo con le vettovaglie, e sembrava che fossero arrivati gli UFO...

Perfettamente a loro agio i primini: Newrunner, che non si voleva far mancare niente, ha battezzato anche la maglia da arbitro.. Ma c’era ben poco da impanare, a Udine.. Il Conte Ernio del Disco aveva fatto richiesta in carta bollata, al Sindaco, di avere una bella giornata di sole. E così è stato.. pure troppa grazia, direi, a giudicare dal grado di coloritura di certi visi normalmente pallidi.. Ted no, che è sempre fosforescente. Ma Pul.. Ellis.. Si sospettano lampade, a dir la verità, per meglio figurare con i numerosi flash della stampa presente, o per il favore delle sostenitrici.

Non imparerò mai che non vanno prestati i cappelli alle feste: così facendo, mi sono giocata il mio bellissimo basco degli Old Blag’s.. ma mi consola solo una cosa. Di sicuro, CHIUNQUE me l’abbia fregato, sta malissimo col basco..


Non si capiva niente?

Come i miei annunci al microfono.

Ma è stato bello, davvero.

Porc... Ho cannato Gaber per Mc!

07 aprile, 2009

NERO



Cerchi di convincerti che tutto intorno sia sempre lo stesso, quando si spegne la luce.

Ma spalanchi gli occhi, aumenti il respiro, e dal nero affiorano le tue angosce.

Un bambino serio dagli occhi cerchiati, con la frangia appiccicata alla fronte.

Una mano che ti tiene ferme le braccia.

O semplicemente il nero, che si spalanca all'infinito.

Una paura atavica. Quella di essere sepolti vivi.

Quella che mi faceva voler uscire in giardino in piena notte, per stringere l'erba tra le dita e guardare una placida notte di stelle. Quella che mi ha fatto impazzire in metropolitana a Barcellona, quando ho cominciato a correre tra la folla, facendomi largo coi gomiti e con la disperazione, per trovare un varco verso la superficie. Quella che coglie all'improvviso, se salta la corrente elettrica nella casa in montagna, e all'improvviso hai la percezione terrorizzante di essere da sola e vulnerabile.

Notte fonda.

Nel letto.

E una scrollata di spalle dei colossi della terra polverizza le costruzioni dell'uomo.

10 centimetri di differenza per la terra.
Una vita in frantumi per molti uomini.

Penso a quella vecchietta che hanno tirato fuori dal buio, dopo 30 ore, viva, lei e i suoi 98 anni.
30 ore di buio.
Faccio rapidamente le proporzioni tra la mia paura della metropolitana e 30 ore di buio.
Lei ha lavorato all'uncinetto.

Ieri sera sono tornata a casa.
Guardavo i muri, che hanno strappato commenti di ammirazione a tutti gli artigiani che hanno lavorato lì dentro in questi mesi: "Eh, sì, questi sì che sono muri. Mica come adesso, che vogliono risparmiare, e li fanno sottili come la carta velina. Questi sono muri d'altri tempi..".

Avevo nelle orecchie tutte le telefonate del giorno, le preoccupazioni, le rassicurazioni, le attese, le incertezze sul da farsi.

In altri tempi ero partita: per andare in Umbria, a Nocera Umbra.
Ricordo il cambiamento di atmosfera quando scendeva la luce.
Fino a poco prima, la gente si attardava a bere Sagrantino nei bar sul limitare della zona storica. E noi prendevamo ampie sorsate da quella fontana che si diceva miracolosa, per il fegato.
Ma quando veniva sera, non si aveva più voglia di ridere.
Le travi messe a puntellare le facciate diventavano oscene, scheletriche, pericolosamente precarie. I cavi e la plastica che oscillavano al vento. Niente luci che si levavano dalle finestre e dai lampioni.

Le luci dal campo uscivano attutite, parate dalle tende. Dentro, sagome di uomini che si intravvedevano appena, e rumori smorzati, sempre sottovoce, per questa vicinanza necessaria e odiosa. Le lunghe panche del refettorio, e il sapore metallico dei grandi mestoli e delle pignatte militari.

Ricordo Lorenzo. Abitava vicino a Milano. Aveva una barba talmente ruvida da aver rovinato tutti i rasoi a disposizione nei primi giorni. Si presentava al mattino presto, con la faccia piena di schiuma, davanti ai lavatoi, e intraprendeva la sua quotidiana battaglia facciale, come impugnando un machete.

Ricordo Francesco. Ci ha messo qualche giorno, a cominciare a parlare. Timidissimo. Eppure era partito anche lui, insieme a tutti quanti, senza sapere bene che cosa avrebbe fatto lì, di preciso.

E lei.
Dove sei, adesso? Chi lo sa..
Non mi ricordo neppure il tuo nome. Mi dispiace.
Eravamo immediatamente diventate amiche, per quelle combinazioni strane di tempo e di luogo che ti portano ad avvicinarti alle persone in maniera anomala. Inseparabili. Ci siamo sentite anche dopo, a lungo. Lei ha avuto un figlio. E l'ho persa. Mi rimane solo quell'immagine di lei, quei suoi riccioli biondi che scappavano da ogni parte.

E l'immagine di quella sera.

La Patrizia di Terni sosteneva a spada tratta che il salame umbro è nettamente superiore al salame emiliano. Io e Francesco a difendere strenuamente i sapori della nostra terra d'origine. Gli altri che aspettavano di poter giudicare sul campo. Il salame emiliano non era nella dotazione del mio zaino, ma Patrizia, invece, si presenta una sera alla tenda comune con bel cesto di salami, chiamati "coralline".

C'era un'atmosfera strana, quella sera: sarà stato il compleanno di Patrizia. Sarà stato che era una delle ultime sere del nostro soggiorno in tendopoli. Sarà stata la voglia di normalità, dopo una giornata passata tra i container. Abbiamo anche ballato.

Lorenzo mi si è avvicinato senza dire una parola.
In seguito mi ha confessato che non aveva mai ballato in vita sua, e non sapeva come mai aveva deciso di ballare, proprio quella sera. Mi aveva scritto una poesia. Che si chiamava semplicemente: "Bella".

Tutto è riaffiorato, contemporaneamente, vedendo il ventre aperto e squarciato de L'Aquila.

E' ricomparso anche l'istinto di partire.
Ma quanto è cambiato da allora!..
Non posso più. Non come allora.
Ho mille legami che mi tengono qui. Ho fondamenta. Ho una casa.
E questo mi rende più nitida la percezione della rovina.



01 aprile, 2009

KIWI


Ecco, siamo alle solite!
La mamma, ad un certo punto dell'anno, si mette in testa che non mangiamo abbastanza frutta.
E così si presenta un bel lunedì mattina con dieci chili di kiwi.
"Erano in offerta!"..
Questo mi fa sentire l'aria di primavera molto più dell'ora legale.
Perché in casa mia le stagioni si sentono in base alla frutta o verdura che ci viene propinata dal nostro orto ubertoso, o dalla mamma parsimoniosa.
Quando l'orto decide di sparare fuori tutte le sua zucchine, per un mesetto buono in tavola arrivano zucchine ripiene, risotto alle zucchine e gamberi, fiori di zucca fritti.
Quando arrivano le ciliegie, arrivano tutte in una volta, e sono ciliegie a colazione, pranzo e cena. Fino a che non se ne fanno gran pentoloni di mermellata.
E poi, fuori stagione, ci sono le manie alimentari della mamma.
Chissà che puntata ha visto di Medicina 33, o cosa le hanno detto del miracoloso contenuto di vitamina C, o che cosa le ha raccontato il fruttivendolo sulle proprietà lassative del frutto (e magari, in realtà il fruttivendolo pensava che ne aveva comprati un po' troppi e li doveva sbolognare in fretta, visto che dopo tre giorni i kiwi tendono a diventare dei sacchettini pelosi di slime verde..).
Bene: quale che ne sia la causa, l'effetto è che ora ho una cesta colma di kiwi.
Io li mangio tagliandoli a metà, e svuotandoli col cucchiaino, usando la buccia come una coppetta.
Mi hanno sempre preso in giro furiosamente per questa abitudine. Oltre al fatto che mangio anche le fette di cocomera, col cucchiaio. Va beh.. Ci sono anche dei passatempi più criticabili, tutto sommato.
Guardo i kiwi dentro la cesta, e sospiro, pensando come sia la marmellata di kiwi.. Bah, ho ancora due giorni di tempo per pensarci. E guardo il kiwi peloche appeso alla mia borsa da allenamento. Non un frutto peloso, bensì la mascotte-pupazzo degli All Blacks.
Causa uno scontro frontale durante la partita di domenica, ho uno sgradevole versamento sul viso, e le borse sotto gli occhi sembrano ripugnanti kiwi (frutti) ormai da buttare da diversi giorni. Ci vuole un sacco di pazienza e un sacco di fondotinta. E chissà quando ricomincerò con gli allenamenti, senza sentire pulsare tutta la faccia fino alle orecchie?...
Altre novità? Sì, stanno passando tutti i giorni una canzone di Gianca (Frigieri) su K-Rock. Beh, lo facevano anche coi dischi di prima, in inglese, ma questo è un pezzo in italiano, ed è veramente heavy rotation: considerando che "L'Età della Ragione" dura più di sette minuti, è un bell'avvenimento, perché non succedeva una cosa del genere dai tempi dei Genesis (che, per gli standard di K-Rock, significa una manciata di anni, ma sempre un lasso considerevole... e che Lucio Vallisneri mi perdoni!).
L'altro giorno gli chiedevo: "Gianca, è un bel disco, ma è molto depresso!". E lui: "Sai cosa diceva Lauzi? Scrivo canzoni tristi perché quando sono allegro esco...".
Lauzi aveva ragione. E domani vediamo se aveva ragione anche il fruttivendolo, sulle altre proprietà del kiwi..

20 marzo, 2009

LAMBRUSCO E PISTONI


Cambiano le stagioni, anche in base alla consistenza del campo.


Quest'anno ci è arrivato veramente malconcio, alla primavera, il nostro amatissimo e sudatissimo campo. Sabbia, rulli, generose annaffiate... non si può comunque nascondere ciò che è evidente agli occhi ed al tatto.


Erba, non ve n'è.
Ma ci pensa il buon Sergio, a spargere il fertilizzante: quei grumini bianchi che sembrano inoffensivi, e se invece sfreghi la pelle per terra, scopri essere altamente urticanti e fastidiosissimi.

Il buon Sergio, sigaretta sempre accesa, sempre in bocca, mai tra le dita, impegnate con spago, conetti, badile, motocoltivatore. Il buon Sergio non si dà pace: impreca contro la siccità e contro i tacchetti dei bisonti del campo. Non ha mai giocato a rugby, ma è la persona che passa più tempo sul campo da rugby. Il buon Sergio ormai è vecchio, o almeno, sembra vecchio. Gira su una Cinquecento violetta, tirata come una Ferrari e sempre lucida. Fa un bel contrasto con i suoi abiti da lavoro, logori e perennemente sporchi di terra. Il buon Sergio, quando si gioca, sta defilato da una parte, quasi soffrendo per il fatto che il suo lavoro di una settimana sia vanificato da un'invasione barbarica di qualche ora.


Il buon Sergio viene da noi, e ci dice di fare allenamento dietro l'area di meta. Marco si incazza, e lui si giustifica, che sono ordini del Presidente. Marco si rassegna: "Se l'ha detto il Presidente, allora va bene".


Il buon Sergio. Non l'ho mai visto dare confidenza a nessuno. Eccetto quella volta, dopo un terzo tempo, che doveva proprio aver esagerato col Lambrusco, perché non riusciva a guidare: l'ha accompagnato a casa il Presidente, guidando l'ambitissima Cinquecento violetta.


Il buon Sergio, una volta, mi ha dato il suo biglietto da visita: io ho preso il cartoncino bianco tra le mani, curiosa più che altro per scoprire quale titolo si era assegnato questo personaggio.


E c'era scritto così, oltre al numero di telefono: "Sergio".


11 marzo, 2009

PUTIZZA


 
Dolce tipico triestino, preparato in particolare per le festività pasquali. Il ripieno è simile a quello del presnitz, e la pasta simile a quella della pinza. Simile anche alla gubana delle Valli del Natisone, per il miele e uva passa.
Me ne hanno portate un sacco e una sporta, di putizze, le ragazze di Trieste. E anche birra artigianale, e confettura, e... ussignur. Non riuscitò mai a finire tutto da sola!
La casa era piena di gente in ogni dove. In sala, nelle camere, nel corridoio. I miei vicini devono aver guardato con stupore quel pulmino giallo parcheggiato nel cortile: CUS Trieste..
"Trieste?".
Ma sappiate, cari vicini, che dovete ancora cominciare ad abituarvi alle stranezze di questa ragazza appena trasferita sugli Appennini.
Il mattino è stranamente calmo, per essere l'alba di una giornata di gioco. Tazze di latte, cuscini, il sole scintillante che filtra dalle tapparelle. E quest'aria trasparente, lucida di tanti giorni passati di pioggia.
Prima della partita, però, sale la tensione come sempre.
Passo davanti a tutte quante. E prendo la loro testa tra le mie mani, per sapere se ci sono, se sono lì, se sono con me. Il primo calcio attutisce tutti i rumori fuori dal campo, come sempre. Si sentono le voci delle Foxy. Si sente anche il cuore che batte.
E' gioia. E' rabbia. E' vita.
La squadra funziona bene come non mai.
Vedi l'ovale che viaggia ai lati, e ritorna, con la cadenza di un metronomo.
E funziona tutto come deve funzionare.
Vedo da lontano Ennio, che calcia con furore un pallone contro la rete. Che c'è? Chissà se le bimbe di Trieste sono state bene?
Passano le ore, diluite all'infinito per la mancanza di arbitri.
Mi sorprendo a pensare che non siamo più la squadra simpatica. Prima venivano tutte lì, a ridere, a scherzare. Grandi pacche sulle spalle, come per dire: "Non te la prendere, è un mondo difficile!".
Ora ci tifano anche contro.
Normale. Non rimpiango i tempi della squadra simpatica. E non sono contenta: non mi basta mai.. Alla fine, dopo la finale, stringo le mandibole per non piangere, per il nervoso, di quella meta che ha fatto la differenza. E ancora una volta, la vittoria ci scivola davanti. Sempre più vicina, ma non ancora raggiunta.

27 febbraio, 2009

LE PIASTRELLE


"Le donne come le piastrelle: stanno bene in cucina".
Leggevo questo distillato di saggezza su un cassonetto dei rifiuti, stamattina, mentre mi apprestavo a smaltire le bottiglie di vetro. Le donne come le piastrelle. Da calpestare. Da imbrattare.
Ho guardato con molto sospetto l'ondata mediatica che ci ha travolto dedicata alle violenze sessuali sulle donne. Una paura pilotata. Per attizzare l'odio nei confronti dello straniero. Per dare mangime di chiacchiere agli opinionisti da bar. Per creare il "caso" da telegiornale, perché ormai Eluana aveva stufato l'audience.
Me ne sto qui.
Tutto il giorno, tutti i giorni.
Dietro questa scrivania immacolata.
Con il mio sguardo professionale più riuscito: un misto di competenza, spietata freddezza giuridica, ma anche un tocco di compassione e partecipazione.
E davanti a me ci sono loro.
Le donne.
Le piastrelle.
Il loro nemico non è lo straniero.
Il loro dolore non è lo squarcio di una violenza improvvisa.
E' un marito. E' un compagno. E' una storia di soprusi quotidiani. Con i figli a fianco, con gli occhi grandi come piattini da caffè, che prendono titubanti le caramelle nella sala d'attesa.
Ma è anche il mio cliente. Quando mi guarda con disprezzo, perché odia dover affidare le proprie vicende alle mani di una donna: percepisco il biasimo, quando dice sì con la testa, ma tanto, nel profondo del suo convincimento, io rimango sempre una piastrella.
Tra una settimana è la festa della donna.
Fioriscono già le mimose nelle vetrine dei negozi. Già da molto tempo non ne vedo più dal vivo, sbuffi rigogliosi di colore dopo il pallore invernale.
Passeremo la festa della donna sul campo da gioco, come non potrei sperare di meglio.
Molte persone pensano che giocare a rugby, per me, sia uno scimmiottamento di un atteggiamento da uomo. Una innocua rappresaglia, per rivendicare il fatto che non sono una piastrella.
Ma non è così.
Gioco a rugby perché non ne posso fare a meno.
Gioco a rugby perché mi fa sentire bene.
Gioco a rugby. E sono una donna.







E, per una volta, me ne sto anche fuori dalla cucina. :)



09 febbraio, 2009

CORI CORI, CHE DOPO TE CORI CON QUESTA!



Anche i piatti più triti possono essere reinventati, con un piccolo espediente.
Per una semplice pasta, invece di spolverare il grana sopra, alla fine, si può farne un cestino. Due o tre manciate di formaggio, su una padella antiaderente. Fuoco discreto, per non bruciacchiare tutto subito. Il formaggio si fonde. Via dal fuoco. Si lascia raffreddare un po' senza che si indurisca del tutto. Il disco di formaggio va passato in una ciotola capiente, e modellato secondo la forma della ciotola; infine, si può far indurire del tutto, e staccare dalla ciotola.
Il cestino è pronto per accogliere la pasta.
Nel caso di specie, avevo da "cestinare" delle fantastiche tagliatelle panna e salmone.
Ma quanto le ho dovute sudare! Un sacco di tempo.. Molto di più di quello che è servito per far indurire il cestino di formaggio.
Sono partita alla mattina, piena di gioia di vivere, belle speranze e il disco di Tom Morello nello stereo.
Avevo voglia di vedere Ennio.
Comincia tutto a girare storto verso Padova.
Mi buttano fuori dall'autostrada senza troppi complimenti.
E come mai?
Tutta l'Italia lo sapeva, meno che me.
L'inaugurazione del passante di Mestre.
Le deviazioni per tornare sulla retta via, a Padova, partivano dall'Ikea, facevano un ampio giro turistico intorno alla città petrarchina, per poi ritornare... all'Ikea. Presa dalla disperazione, giro il volante verso Treviso. In un paesino sulla strada, prima di Mirano, al posto del monumento cittadino c'è un rottame di macchina accartocciata, con sotto questa scritta evocativa: "Cori cori, che dopo te cori con questa!", e la foto di una carrozzina.. Torno sulla tangenziale di Mestre, per scoprire che devo passare dall'aeroporto e lungo l'Adriatico, per rientrare a San Donà. Ma pork... aspettavo la partita inaugurale del 6 Nazioni con attesa spasmodica.
In Club House, a Udine.
Con amici, birra, casino. Ed Ennio.. Ennio, telefono: "Non è che mi faresti preparare un panino? Mi sa che perdiamo l'inizio della partita"..
Ma mi rincuora pensare che la partita mancata dell'Italia sarà ben compensata da un'accoglienza calorosissima a casa degli Orsi, che aspettano la partita dell'Irlanda con altrettanto fervore patriottico rispetto a quella degli Azzurri.
Sento la cronaca di Rai 1..
"Linea a Twickenham, per il rugby!"
(...)
E' l'inviato della Rai, che probabilmente si sta facendo una birra, e non considera i richiami dallo studio.
Segue il giro completo dei campi di calcio della serie B.
Di nuovo uno sprazzo di partita.
"Ecco Goode che si prepara a piazzare..."
"Scusa se ti interrompo. Ti segnalo un cartellino giallo sul campo del Rimini!".
Comincia a lampeggiare una spia minacciosa sul cruscotto.
Olio.
Digito a Ennio questo messaggio, mai inviato: "Mi lampeggia la spia dell'olio. Speriamo che non sia nulla di grav...".
La macchina si ferma.
Definitivamente.
Come si arrestano le mie speranze di vedere l'Italia, e anche l'Irlanda.
Carro attrezzi. La Pallina rimane a Udine.
Io taglio il traguardo, battendo il record di traversata: Modena-Udine in nove ore esatte.
E mancando la prima giornata del Sei Nazioni.

14 gennaio, 2009

LA BOUM




Scena da un tardo pomeriggio, nel garage di una ragazza del rione.

Le tapparelle alle finestre sono abbassate, per dare idea di aver lasciato fuori tutto il mondo, in particolare quello degli adulti.

Le sedie sono spostate ai lati. Gli attrezzi da giardino sono coperti con carta crespa colorata, pazientemente distesa con le dita, alle estremità, per ottenere delle frappe. Uno stereo scalcinato fa girare cassette, ma la musica è considerata relativamente. Riscuotono più successo il tavolo delle torte e le cocacole.

Io avevo una predilezione per le frittelle di mele.

Vanno grattugiate tre mele (due dolci, una più pungente). 3 uova, di cui separare albume e tuorlo (e di nuovo la mia maledizione dell'albume montato a neve.. mannaggia!). Ai tuorli, invece, vanno aggiunti due bicchieri di farina, lievito per dolci, zucchero vanigliato, sale e un bicchiere di latte. Magari anche un po' di cannella. Ora va amalgamato il tutto, con una passata di frullatore. Dopo si aggiunge altro latte, fino ad ottenere un composto denso ma fluente (eh eh eh.. la cucina è fatta anche di equilibrio di contraddizioni). Incorporare i bianchi montati a neve, con un cucchiaio grande di legno e con grazia. Infine vanno aggiunte le mele grattugiate. Scaldare abbondante olio in una padella, e farci gocciolare dentro ampie cucchiaiate di composto, fino ad ottenere frittelle grandi come un "ok" fatto con pollice ed indice. Spolverare con zucchero a velo e servire possibilmente calde.

Ok.. Ora sei pronta. Ricorda di pulirti ancora la bocca dai residui di zucchero a velo, che non sta bene. Sono iniziati i lenti. Alcuni sparvieri della pista sono già planati sulle prede, con fare sicuro e sorriso disarmante. Ma la maggior parte dei ragazzi se ne sta ancora in disparte, facendo finta di non aver sentito il segnale inequivocabile, torturando bicchieri plastica ormai vuoti.

E' tutta la settimana che ci pensi.

Ti sei prioettata il film nella testa, per rassicurarti e per sognare, un milione di volte.

Ora senti le orecchie che vibrano e le guance in fiamme. Chissà se ha notato, i tuoi occhioni che lo seguivano da sotto il mascara maldestramente sparso in grossi calcinacci sopra le ciglia. Probabilmente no. O forse sì, ma il risultato non cambia.

Ti avvicini, camminando con grazia e sospinta dalle pedate delle tue amiche molto discrete.

Arrivi lì da lui a un palmo, sorridendo, e ancora lui finge di non averti notato, insistendo in una conversazione inesistente con il suo amico del cuore.

"Balliamo?".

Sospira, come se gli costasse uno sforzo immane scostarsi da quella parete e appoggiare al tavolo il bicchiere di cocacola. Ma dentro di sè esulta e salta fino al soffitto.. SI' SI' SIIIIIII'...

Allunga le mani sui tuoi fianchi, ma con la parte alta del corpo scosta indietro la testa, tradendo inequivocabilmente che ha paura. Che non sa bene cos'è quel tumulto. Che pare bello, ma che cavolo sta succedendo?

La musica si spegne, per noi.

Il mondo comincia a girare, sotto i nostri piedi. E noi partiamo, in questa terra sconosciuta, tenendoci per mano, più per non perderci, che per stare vicino.

E' l'odore di un dopobarba messo senza essersi rasato. E' la civetteria del primo reggiseno. Sono le telefonate interminabili del pomeriggio, per infiocchettare quel ballo con le amiche. Sono i cuori sui diari. E' il poster di Sandy Marton. E' la preghiera che tua madre non ti veda. E' quel modo buffo di tenere la testa sotto il casco, come se pesasse un quintale, svolazzando beato su una Vespa azzurra.


Non so come ci si riesca, ma si sopravvive anche a questo: alla gioia che ti fa esplodere gli occhi, ed al terrore puro subito dopo, quello che ti fa venire il bisogno di stare sdraiata bocconi a terra, sul prato, per respirare l'odore della terra, per tenerti attaccata alla vita senza tutta quella paura.


E la vita va avanti lo stesso, nonostante tutta quella paura.


07 gennaio, 2009

L'ETERNO SPLENDORE DI UNA MEMORIA INCONTAMINATA



Ancora patate? Eh, non l'ho scelto io.
Sivvede che era destino, come direbbe il buon Paz.
24 ore di films, tutti impilati uno sopra l'altro. Per rimettersi in pari con le grandi pellicole mancate. Per ricordarsi le battute migliori. Per sentito dire. Per caso. Perché ci sono delle belle scene di combattimento. Per stare sdraiati e navigare in un piumone grande grande e morbido, e mangiare di continuo. E fregare la legna dal vicino di casa, quando la nostra scorta è finita.
Porco cane, rimangono le orme sulla neve! Non lasciamo tracce del misfatto.. Cammina un po' a caso nel cortile. Se no risalgono subito a noi.. E fanno come quel tipo matto, che ha scavato in uno dei suoi tronchetti da bruciare, lo ha imbottito di raudi, ha ricoperto il foro esterno con lo stucco, e ha aspettato. Il giorno dopo, la Polizia ha suonato alla sua porta: "Guardi, è esplosa una stufa nella casa di Tal dei Tali. Lei sa mica niente?". C'erano le impronte dei cerchi della stufa marchiate a fuoco sul soffitto del ladro. E io mi immagino l'espressione indifferente del proprietario della legna: "No, non ne so niente!". Ma una lieve increspatura del lato della bocca, un accenno di sogghigno, per la vendetta compiuta.
"Io non sono sono un'idea, Joel, ma una ragazza incasinata che cerca la sua pace mentale. Non sono perfetta".
Bisogna prendere quattro belle patate.
Clementine ci faceva bambole. Le vestiva con cura. La più brutta di tutte si chiamava proprio come lei, Clementine. E lei la sgridava di continuo. "Non essere così brutta! Sii bella!", come se cambiare la bambola avrebbe misteriosamente fatto cambiare anche lei.
Io non vesto le patate. Le lavo con cura. Le spazzolo. Le asciugo. Con uno stuzzicadenti faccio tanti tanti buchini. Poi strofino la buccia con poco sale. Metto in forno già caldo, a 180 gradi, per un'ora. Facciamo in tempo a guardare due terzi di film, e a bere una bottiglia di vino.
Dopo la bottiglia di vino, e con lo sguardo sul film che digrada lentamente verso il finale, taglio le patate a metà per il lungo. E ne svuoto l'interno, con un cucchiaio. La polpa va in una terrina, insieme a due salsicce senza pelle, già un po' schiacciate. Un uovo, un po' di formaggio grattugiato. Aglio (non così tanto, disgraziata!) e rosmarino. Sale e pepe. Abbraccio amorevolmente la terrina, e comincio ad amalgamare il tutto, con una forchetta, aggiungendo un po' di panna. Il ripieno arricchito torna dentro le patate scavate, e le patate tornano in forno, per altri dieci minuti, a gratinare.
The End.
Mi cancelleresti mai?
Bah.. Non c'è neanche gusto a guardare i film tristi! Ennio ha già la bocca piena e la faccia beata. Va beh, dai! Guardiamo il film quèlo che se menano..