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Spezzano, Modena, Italy
Inguaribilmente energetica, e contagiosa.

12 maggio, 2008

MAMMA MIA


 
Mia mamma non sa fare da mangiare.
Beh, ha tante altre qualità, ci mancherebbe! Sa disegnare perfette riproduzioni dei quadri di Klimt, si incatena agli alberi a scopo dimostrativo per impedire che siano tagliati, si occupa dei caprioli (no, non per la polenta, intendo), di politica, delle orchidee selvatiche e ama la musica di Demis Rousseau, delle Orme, di Lucio Dalla e di Guccini.
Ma non sa fare da mangiare.
La vera rezdòra di casa era la nonna, che raccoglieva al desco ogni giorno i figli lavoratori, i rispettivi consorti, lo stuolo di nipoti, il marito, naturalmente, e viandanti e ospiti occasionali.
Praticamente, un'osteria, aperta ad ogni ora del giorno. La tavola perennemente apparecchiata. Un bel contrasto con la credenza di casa nostra, vuota in maniera desolante..
Col passare degli anni, la credenza ha cominciato a popolarsi: dapprima ingredienti casuali, presi più per impulso momentaneo, che per vera necessità. Patate americane (quelle lunghe lunghe e dolci, da fare al forno, che mio padre difendeva con le unghie e coi denti da ogni assalto familiare avversario), cocomera (questa era affar mio, lo ammetto..), uova e radicchi di campo (da condire con aglio e un fiume di aceto balsamico: una ricetta che aveva anche il pregio di allontanare le zanzare tigre!), semi di zucca e pistacchi (mio fratello ha sempre nutrito un'insana passione per questi stuzzichini da scimmia.. bah!).
Poi, inaspettatamente, mia mamma ha cominciato a fare da mangiare.

Ieri mattina la giornata è cominciata molto presto. Tè caldo, fette biscottate e marmellata di lamponi, con lo stomaco serrato dall'imminienza della partita. E cioccolato, non tanto per dare benzina alle gambe, quanto per la consolazione momentanea.
Viaggio in pulmino con la testa che vuole dormire, ma ciondola per ogni dove, a causa della mancanza di supporto. Sedile duro. Sguardi persi sui Colli Euganei. Orecchie immerse nei suoni delle cuffiette, per la concentrazione, per isolarsi dalle tensioni altrui e concentrarsi sui propri pensieri.
Il campo di Thiene, duro e polveroso. Sole in fronte, fatica, terriccio: all'ennesima ripartenza, quando la ragazza di Bologna punta dura la spalla verso la mia direzione, pensare: "Oh, no.. ancora?!". E giù nella polvere, e su di nuovo per vedere dov'è finita quella palla.
Occhi azzurri dietro gli occhiali, che mi sorridono comprensivi: l'effetto è più o meno quello del cioccolato della mattina. Dolce, e provvidenziale.
Pochi momenti nel parcheggio del centro sportivo, ma tutto sommato un bel terzo tempo: la Red Panther mi regala i suoi calzoncini ed i calzettoni, le bimbe mi fanno gli auguri per la festa della mamma (bafangule!), e io vado in giro a finire tutti i succhi di frutta lasciati a metà, con una sete inestinguibile addosso e neanche una birra all'orizzonte.
La prima birra riesco a prenderla a Verona (già che siamo di strada per il ritorno), in compagnia dell'unico veronese che conosco, che ritrovo casualmente sul campo della partita tra il CUS e il Viadana B. Strano, che il pallone ogni tanto ci voli sopra le teste, per planare sul campo da baseball. L'erba del campo da rugby è martoriata e giallognola, quella del campo da baseball è perfetta e soffice, e il pallone non fa neppure rumore, atterrando.
L'estremo (della squadra di baseball) sbuffa e va a raccogliere l'ovale estraneo e alieno, e lo butta oltre la tribuna, in quell'altro mondo di pazzi e romantici, ma un po' più scapigliati. Però alla terza o quarta volta che si ripete la scenetta, si rompe le scatole, e lo lascia lì. Mi metto nei panni di quel povero pallone abbandonato, che si ritrova su quel prato accogliente e silenzioso, e pensa: "Cos'è questa roba verde?".
La giornata termina alla tavola della mamma, che mi serve questa meravigliosa torta Margherita alle mandorle.
Non ci credo che l'abbia fatta lei: mia mamma non sa cucinare. Mi deve far vedere la teglia ancora nel lavello, da cui ha spiattato la torta, per convincermi. E dire che è una torta semplicissima, ma l'idea che mia mamma faccia le torte non riesce proprio a passarmi per la testa.
In realtà c'è una cosa difficile da fare, per la torta. Montare gli albumi a neve: mentre la nonna riusciva a fare una spuma fermissima e precisa, la mia neve di albumi è sempre stata un po' approssimativa. Ma se non si fa bene, la torta non viene, e non si può barare. Sei, o sette uova, di cui si separano i bianchi dai gialli. Dei bianchi si fa spuma, dei gialli, si fa un gran sbattimento con lo zucchero, quindi unire la farina (mia mamma usa la farina calibrata, quella che di solito serve per le sfoglie di pasta) e per ultimo la spuma di albumi, piano, per non far smontare la neve (dopo tutta la fatica che c'è voluta per farla venire a modo!).
La teglia della torta va imburrata e cosparsa di pangrattato: ci si mette dentro il composto, e sopra ci vanno delle scagliette di mandorle tostate, e lo zucchero a velo. 20 minuti in forno, a 180°, ed il dolce è bell'e che pronto!
E' molto buona. Auguri, mamma.

4 commenti:

Anonimo ha detto...

Uh che Mamy moderna! Da bambino, anche la mia sapeva disegnare perfetti archi in cielo ... con la sua pantofola da passeggio fox-trot 4 che, dopo l'ennesima marachella, raggiungeva precisa il mio giovin ql ... altro che il bacio di Klimt...giusto giusto la ciabattata della Valleverde :P
Grungissimo il tuo ankle sun AiC logo :)

djlara ha detto...

Molto simile a quello che ha, sempre sulla caviglia destra, la Zangirolami. Anche se, quando usciva Dirt, secondo me, la Zangirolami aveva appena iniziato le scuole elementari..
E invece noi già con i camicioni di flanella, e i capelli davanti agli occhi per mascherare il nostro malessere esistenziale (che culo!).. :D
Yo..

Anonimo ha detto...

come scrivi bene, Lara...

djlara ha detto...

Ci sono alcune penne che ammiro davvero tanto, a spasso per i blog: infatti mi piacerebbe avere l'elenco a margine dei post (come si chiama? Blog-roll?? Sembra anche questa una ricetta), per far vedere a tutti chi sono e come scrivono i miei amici.
Adoro di ciascuno qualcosa di diverso, e li leggo tutti con visibile piacere:

la Robbb e la sua prosa spietata, senza spazi tra le righe. Una serie consequenziale di pensieri senza fiato.

Max e il suo eloquio elegante, che trasforma ogni evento quotidiano in uno spaccato nobile ed epico.

Billie e la sua incontenibile gioia di vivere, un entusiasmo debordante che rulla libri, musica, partite con la stessa forza. E quando parla di sentimenti.. aaah, quelli sono i miei momenti preferiti.

Il Canello, e il suo vizio di menare fendenti e non lasciare traccia. Ironia stratosferica, ma senza veleni malefici.

L'Orso, e la sua pura umanità: sono parole che muovono affetto da subito, dirette, pochi fronzoli e pedalare.

PB e il dono del suo sguardo senza parole.

E Paco... per me, tu sei la poesia. Una delle dimostrazioni eclatanti per cui credo che valga la pena di cercare la bellezza ogni giorno, in ogni più piccola cosa.