Informazioni personali

La mia foto
Spezzano, Modena, Italy
Inguaribilmente energetica, e contagiosa.

28 gennaio, 2008

FARFALLE GAMBERI E ZUCCHINE



 
Metti a bollire l'acqua per la pasta.
Nel frattempo, sciogli un po' di burro in una bella padella capiente e, appena fuso, metti cipolla tritata in vergognosa abbondanza: quando le cipolle si appassiscono ed indorano, aggiungi le zucchine, tagliate a tocchetti triangolari: questo è facile, più che tagliare a rondelle quelle maledette verdure. Tagli a metà per il lungo, poi ancora la metà a metà. Afferri la sezione con una manina e con l'altra tagli, già sopra alla padella. Appena le zucchine accennano ad essere cotte (significa: quando sono discretamente rammollite), versi i gamberetti ed innaffi con vino bianco (ci facevo caso l'altro giorno: ma come mai le mie ricette sono quasi tutte alcoliche? Sarà una coincidenza?? Bah..), sali e impepi come ti gusta, magari con l'apposito macinino che fa più fico! Quando anche i gamberetti accennano ad essere cotti, ci metti un altro po' di burro e mescoli il tutto. Versi la pasta nella padella (dopo averla scolata... c'è bisogno di specificare?), un po' al dente. E poi servi, nel terzo tempo del primo raduno di rugby femminile a Formigine.
Affaccio la faccia alla cambusa, sfoderando il mio smagliante 33 denti d'annata alla Signora Casolari, che mi risponde ringhiando dietro al suo grembiule: il Presidente si è "scordato" di dirle che, oltre alle squadre seniores, abbiamo anche il piacere di ospitare le under 15, per un totale di circa IL DOPPIO DEI POSTI A TAVOLA, per il terzo tempo.
Ricevuta la comunicazione, eclisso saggiamente il mio faccione dalla cambusa, perché credo che la Signora Casolari abbia la tentazione di tentare l'impatto del mio faccione (appunto) contro la padellona dei gamberi (ancora vuota).
Svolazzo dalle parti di Mauro, perché è sempre bello ricevere un abbraccio di 120 chili di prima mattina: anzi, lo ritengo quasi terapeutico.
Il pullmone della Benetton si è perso nella campagna di Magreta.
Il Dottore societario è stato appena buttato giù dal letto.
I tifosi seriamente motivati (padri, zii, cugini, morosi) arrivano alla spicciolata e pensano bene di attaccarsi alla rete dell'altro campo, quello a fianco, ovviamente un campo di calcio.. "Ma papà, la partita è da questa parte!!". "Sì, sì" (senza neanche staccare gli occhi dal pallone rotondo e rotolante), "quando fischia l'arbitro, poi, mi giro!".
L'arbitro.. quasi mi commuovo.
Un angelo.
Un angelo biondo.
Le labbra tumide ancora arcuate ad un naturale "oh!" di meraviglia sul mondo.
Con il rossore delle guance che non conoscono ancora i patimenti della lametta da barba.
"Quanti anni hai?"
"17".
E gli scompiglio i riccioli delicati, con una carezza di mani già infangate.
Sospiro: metà dei miei, di anni!
Il campo è tagliato dalle corse dei cani.
Il barboncino bianco cui le ragazze di Colorno hanno infilato (sicuramente contro la sua volontà) una maglietta rossa; il grande cucciolone pilone della nostra medianina (che volendo, probabilmente, avrebbe inghiottito il barboncino senza masticarlo); il cucciolotto dell'Alle, che non gli sembra neanche vero di lasciare la sua insulsa pallina-giocattolo di gomma per lanciarsi su un vero pallone da rugby!
La testa alzata dall'ultimo, ennesimo raggruppamento con le Fighters di Udine: tre fischi, e sorpresa, "Ma come? E' già finita?".
E un tramonto fiammeggiante di quelli che ti lasciano le parole a metà.

21 gennaio, 2008

PATATE AL FORNO



Se devessi dire in breve ciò che mi affascina della cucina, potrei usare una sola parola: trasformazione.
Vedere la materia che cambia sotto le mani. Forse è la stessa spinta che muove le mani dello scultore, ma il risultato è molto più prosaico: e si mangia.
Mi ha sempre affascinato ciò che succede masticando una spiga d'orzo: da piccoli era il nostro modo per avere i "chewing gum", negli anni in cui, per comprare "chewing gum", soldi non ce n'erano.
Via, non esageriamo: non abbiamo mai patito la fame, ma c'erano modi più opportuni di spendere anche gli spiccioli.
Non certo per i "cèvingum", non per le "cìcles", non per le "cicche" (che stavano ancora a significare "gomme da masticare" e non "sigarette").
Di modo che il figlio della proprietaria del negozio di alimentari sembrava un alieno: con tutte quelle coppe traboccanti di "cèvingum" e rotelle Haribo, come cornucopie.
E la trasformazione scoppiettante del chicco di granturco, dentro la padella di olio bollente.
E la soddisfazione che danno le patate.
Prendi quelle belle pesanti, così ne sbucci di meno.
Io le faccio a dadi.
Mentre sono impegnata nelle operazioni di intagliatura, accendo il forno: così la patata non subisce il trauma di essere subito sbattuta nel caldo infernale, ma si scalda insieme all'ambiente circostante. Infilo nel forno la teglia che mi servirà per le patate con uno sbuffo o due di burro, e aspetto che si squagli tutto bene a modo.
Al momento buono, tiro fuori la teglia, metto tutti i dadini delle patate con un po' di aglio tritato, rosmarino, sale e alcuni cubetti di pancetta. E poi arriva la parte che mi piace: su le maniche (se già non le ho tirate su, ma questo è il momento migliore per farlo) e giù con le mani a ravanare nella teglia.
RAVANARE: smanacciare, spoltigliare, spaciugare... Possibile che tutte le parole giuste per spiegare cosa si debba fare siano in dialetto modenese? Una sola parola in italiano non esiste?
Non esiste.
Esiste spiegare come mai ogni tanto salto dentro le pozzanghere a piedi pari.
Esiste il momento in cui plani in meta circondata da un tripudio di fango.
Esiste il gavettone. Meglio un bel gavettone, che fare a palle di neve!
Ma che c'entra?...
Non lo so, ma dopo aver finito le patate, con le mani tutte piene di burro, e rosmarino, e amido.. non so: un po' mi sento felice.
Poi tocca a loro, la trasformazione: le guardo, ogni tanto, dall'oblò del forno.
Cambiano fuori, e se tutto va bene diventano croccanti. Cambiano dentro, e diventano dolci, e morbide. Il momento finale è quando decido che va bene così: infilo il guantone imbottito, e tiro fuori la teglia, maledicendo l'ondata di vapore che arriva fuori e mi appanna gli occhiali.
Imparerò mai, a togliermi gli occhiali quando cucino? O quando sfilo di dosso una maglia col collo stretto, che mi rimane tutta la strisciata della montatura in mezzo alla fronte? Imparerò mai a non andare sotto la doccia con gli occhiali?
No. Non imparerò mai.
Le patate si trasformano: ma altre cose, invece, non cambiano proprio mai..

10 gennaio, 2008

CARPACCIO DI MANZO CON RADICCHIO ROSSO, FUNGHI FRESCHI, SEDANO E SCAGLIE DI GRANA


Nella vita mi sono capitate molte cose che non mi dovevano capitare, e non mi è capitato quello che pensavo che mi sarebbe capitato.
L'anno del mio matrimonio doveva essere il 1995. L'avevo scritto a futura memoria nel mio diario di scuola, nella pagina dedicata ai compiti per le vacanze. Mi sono sposata 10 anni più tardi, con un altro uomo che non era quello delle mie originarie intenzioni.
Dovevamo avere dei figli. La suocera aveva già comprato le scarpine, una specie di incentivo, neanche tanto velato.
E invece figli non ne abbiamo fatti. O meglio: non insieme. Lui è stato più bravo di me.
Mi sono seduta al tavolo della birreria tirandomi dietro la Gazzetta dello Sport: la solita ricerca nelle ultime pagine, a cercare minuscoli trafiletti, i telegrammi del rugby. Stavolta parlano di Chabal, in un angolino, per dire che non sarà nella prossima nazionale francese.
Ma non ero certo lì per scroccare la Gazzetta dello Sport. E neanche per il carpaccio.
Ancora addosso il freddo del campo di allenamento, ostico e ghiacciato come non mai.
Lui aveva telefonato. "Sono arrivato lungo!": toh, chi l'avrebbe mai detto?! Sorrido tra le pagine rosa aperte davanti a me.
Ma, dopo la prevedibilità del ritardo, arriva invece una delle cose che credevo non sarebbero capitate nella mia vita.
Ha la barba selvatica. Ha addosso vestiti che non gli riconosco.
Ha una cosa da dirmi.
E subito non capisco neanche a cosa si riferisca.
Dicono che l'Italia sia l'ottavo miglior posto al mondo dove far crescere dei figli.
Prima ancora della Francia (penso a Chabal, e alla sua piccola creatura, che tiene tra le mani smisurate come se la raccogliesse con una ruspa).
Prima ancora della Germania.
Penso ai mucchi della spazzatura per le strade di Napoli.
Penso ai miei clienti e alle loro storie che custodisco archiviate ordinatamente nel mio armadio.
Penso ai miei genitori, quando hanno scoperto, ancora ragazzi, che dovevano passare molto velocemente dalla piena incoscienza alla responsabilità di tirare su una piccola, tremenda, petulante spaccamaroni.
E penso che, per il momento, sia meglio smettere di pensare al passato.

08 gennaio, 2008

ABBONAMENTO A 20 FRULLATI


Mai messo piede in una palestra.
Ma ora ho ceduto, a questa richiesta imperante di fisico e prestazioni e trallallà.
Per la verità facciamo un po' ridere, io e Gabriele: Gabry che l'ultima volta che ha sudato è stato per una salsiccia troppo piccante, e io che mi guardo incredula i miei scarpini lindi.
Ma come?! Niente fango?..
E cos'è questa atmosfera calda e ventilata, con ioni nella misura perfetta per l'attività fisica?
Il nostro "Personal Trainer" si chiama Andrea, ed è un bel pezzo di emiliano con la faccia che ride e le braccia non perfettamente aderenti ai fianchi, causa ipertrofia muscolare. In una parola, un tipo Diobòun-soungròs. Però simpatico.
Ci piazza su due tappetini e dice: adesso correte!
E fin qui nulla di nuovo: se non fosse che devo pagare fior di eurini per venire in questo ambiente asettico e fare la stessa cosa che posso fare gratis al Parco Amendola tutte le domeniche mattina. Solo che qui si ascolta la musica carica dei biciclettari spinnanti (unz unz unz... condito con urla a volume generoso dell'istruttrice/motivatrice) e, invece, al Parco Amendola, la musica è mia e me la gestisco io..
E via che si va: temo in ogni istante di perdere equilibrio e fare la fine delle mozzarelle sul nastro trasportatore della cassa del Conad, ma è solo un'impressione temporanea. E comincio a pigiare i bottoni della cabina del pilota, per divertirmi: velocità, pendenza, BPM, calorie bruciate... Alla fine mi giro, e Gabry ha già assunto un interessante colorito amaranto.
Andrea arriva premuroso, chiedendoci come va: andiamo, Andrea, so che puoi fare di meglio. Prova a rifilarmi il foglio plastificato con il programma femminile dimagrante. E lo fulmino con un'occhiata da taglio. Allora che mi guarda come per dire "Va beh, te la sei cercata tu!", e mi allunga il programma maschile di potenziamento. Io mi ritrovo in una sala piena di bambolotti Big Jim a grandezza naturale, che accompagnano le elevazioni, allungamenti, circonduzioni, con dei potenti sbuffi da locomotiva a vapore.
Vengo masticata da queste macchine di ferro, grandi come i Transformers, ed ognuna di esse ha il compito di solleticare un muscoletto piccolo piccolo, che si trova in una zona che magari io ritenevo neanche tanto rilevante. Boh..
Gabry arriva giù tutto contento, lucido ed elettrico: "Hai provato la macchina che fa galleggiare?".
Ecchessaràmai, dico io. Cosa hanno anche, qui dentro? Dei simulatori a gravità zero, come nei centri di preparazione fisica degli astronauti. Il buon Gabry intendeva "lo step", che ti dà la sensazione di galleggiare, perché se non ci dai dentro con le gambe finisci miseramente a terra e fai il doppio della fatica per far ripartire il baracchino. Lo guardo con tenerezza: ma no, Gabry, lo step è nel programma dimagrante. Comunque, vai tranquillo: continua pure a galleggiare, che vengono fuori due chiappe da sogno, cesellate con lo scalpello.
Verso la fine del giro di giostra vedo questo angolino in disparte: "Abbonamento a 20 frullati". Ci sono dei cartoni di latte e dei bidoncini come quelli del Vinavil, però grandi come quelli che tenevano a scuola, non come quelli che compravamo noi nelle cartolerie. Scritte strane ed incomprensibili, che alla fine rassicurano con un familiare dichiarato sapore di fragola.
Guardo sconsolata il Gigante, che nel frattempo mi è venuto a prendere: senti, ma se ci andassimo a fare una bella tagliata grana e rucola, con la fiorentina, da Seba?
Si può fare..

02 gennaio, 2008

I BUFALI E I COTECHINI


 
L'ultimo dell'anno ho lasciato la mia bella casetta nuova (mentre me ne andavo in quel di Soliera, Modena, con le valigette dei miei bambini.. pardon, dischi: vedi il post sottostante) nelle mani di 9, dico 9 bufali, amici putti del Gigante.


Dicasi "putto" il ragazzo che ha ritenuto lungamente di non accoppiarsi con esseri dell'opposto o dello stesso sesso. Insomma: scapoloni impenitenti, per scelta o casualità.


9 quarantenni (di cui solo il mio Gigante accompagnato, ma momentaneamente solo, per causa di servizio, essendo io partita per missione digeiesca: vedi il post sottostante) ed un cane labrador.


Prima di lasciare il mio nido, il mio orgoglio, il mio rifugio in preda ai barbari (stoicamente avevo acceso tutte le candele, per lasciare un ultimo baluardo di femminilità nell'aria. Loro non si sono fatti impressionare, entrando, anzi: hanno annusato l'aria soddisfatti, grufolando qualcosa del tipo "Beh, vedi che serve a qualcosa avere una donna in casa!"), mi hanno domandato: "Hai due pentole belle grosse?". Tiro fuori le mie due ammiraglie gastronomiche, due belle stoviglione da campionato. "Perfette: così ci mettiamo 5 cotechini da una parte e 4 dall'altra".


Faccio i conti, mentalmente: 5+4 cotechini = 9 bufali. Un cotechino a bufalo.


Scappo dalla casa inorridita, urlando..


E' ZUCCHERO FILATO, E' CURIOSITA', E' UN MONDO DI PENSIERI IN LIBERTA'


Penso che sia magia, tutto sommato.
Prima di tutto si fa con una bacchetta di legno: e già questo la dice lunga sulla preparazione.
Poi la trasformazione che ha dell'inspiegabile: dal sacchetto di zucchero, quello dozzinale, quello banale, quello che vediamo stipato a quintali sui pallets di legno del supermercato. Quello che se lo lasci lì troppo sui ripiani della tua credenza, o nelle zuccheriere delle case di montagna, diventa un macigno compatto ed inattaccabile, che al posto del cucchiaino da caffè devi impugnare uno scalpello. Dal sacchetto di zucchero a quella nuvola soffice, quella promessa di paradiso, quella trama trasparente che trattiene i desideri dei bambini.
Quella trama che diventa un tranello, una ragnatela, una maledizione appena provi ad assaggiare, perché la materia che sembrava così inoffensiva si rivela insidiosissima: si appiccica in ogni parte del viso, delle orecchie, della pelle in mezzo alle dita delle mani. La nuvola si sgonfia inesorabile al contatto del palato, e si installa con decisione tra i denti (oddio, pericolo carie... il terrore del trapano dentistico, che viene riesumato insieme a tutti i bei ricordi dorati dell'infanzia!): ciò che era gola, promessa, premio, diventa ingombrante, esagerato, stucchevole, dopo appena due pinzate.
Scenario: quello di Piazza Lusvardi a Soliera, i minuti che seguono la mezzanotte di Capodanno, quelli ubriachi di festa, di abbracci, di esplosioni di luce e scintille, di luci ai bordi del Castello, della musica tarantolata dei Folkabbestia. Ci siamo io e Danilè, quasi sorpresi che la mezzanotte sia passata così in fretta, a tradimento. E non ce ne siamo neppure resi conto. Solo guardando le lancette sulla grande piazza del paese ci siamo accorti dell'inganno: embè?? Neanche un Pippo Baudo che ti faccia il conto alla rovescia? Con la bottiglia di spumante della Coop che impedisce di tenere le mani in tasca, e quindi ci si affretta a versare, per finirla in fretta, tirando anche ampi sorsi a collo direttamente dalla bottiglia, per non dover tenere il bicchiere nell'altra mano: eh già, scusa.. due mani fuori a gelare. Non ci penso neanche!
Poi vediamo il carrettino dello zucchero filato. Sguardo d'intesa con Danilè: neppure bisogno di domandare. Siamo già lì davanti, golosi come scimmie. Ma si ripete anche il rituale ciclico da tempo immemore, che come ogni volta vogliamo dimenticare a tutti i costi, e che ci frega puntualmente: è inutile prendere il lecca-lecca più grande, quello con la spirale colorata.. dopo dieci minuti di leccate giuriamo di non volere mai più mangiare roba dolce per tutta la vita. E' inutile mettere la calza più grossa per la Befana: metà di quei dolci ci risulteranno odiosi anche solo alla vista. E' inutile gioire di un gigantesco sbuffo di zucchero filato: la voglia di dolce sarà subito appagata, e rimarrà invece, ingombrante, quel cuscino bianco che non si può nemmeno passare, come un testimone.
Ci guardiamo attorno, perplessi.
Mi avvicino al palco.
Il cantante ha finito il pezzo e raccoglie gli appalusi, liberando le mani dalla sua chitarra e dal microfono. E' un attimo: sorrido, e gli allungo lo zucchero filato, sul palco. Lampo di gioia negli occhi: i bambini reagiscono tutti allo stesso modo, davanti allo zucchero filato. Prende in mano l'odiosa trappola bianca, e si accorge subito dell'errore di valutazione.
Vorrebbe mangiarlo tutto, preferibilmente in una sola boccata. Ma deve continuare il concerto: è lì per quello! Io e Danilè siamo già spariti, e non ci sembrava vero, dopo esserci liberati del bottino. Lui è sul palco, con lo zucchero filato, e la gente aspetta che suoni.
Si gira, appoggia lo zucchero filato nel posto che gli sembra più comodo, e attacca la canzone.
Il primo giorno dell'anno, i Folkabbestia a Soliera hanno suonato con uno zucchero filato sulla cassa della batteria.