Dunque, è questo lo scherzo!
Che improvvisamente ti cambia il gusto.
Il primo impatto, prima ancora di fare i conti con i mutamenti fisici visibili, è questo voltafaccia clamoroso del senso a cui sono più affezionata.
Scompare del tutto la sensazione di aver appetito, e ti rimane la fame, proprio.
Il fatto di sentire lo stomaco vuoto.
Ma senza il naturale slancio verso qualcosa che ti piace.
Una necessità di avere qualcosa dentro la pancia che ti possa attenuare il crampo all'imboccatura della gola.
E soprattutto, ahimè, la nausea perenne.
Che alto tradimento!
Mi ricordo quando mi avevano proibito di toccare cibi grassi per l'impennata di trigliceridi nel sangue: e anche lì era stato un duro colpo, ma almeno avevo ben presente in testa che avrei desiderato grandemente una bella fetta di salame odoroso, o il coltello che affonda nella bistecca con ampi fendenti e sugo saporito.
Invece adesso no.
Mi ritrovo stupita, davanti ad un piatto per cui prima avrei fatto follie, a guardare salire dal brodo vapori colmi di promesse, ad appoggiare il cucchiaio sconsolata, e deglutire a bocca serrata, reprimendo a fatica le sommosse interne.
E peggio ancora, invece, è la fissazione verso un unico cibo, che arriva all'improvviso, feroce, e senza via d'uscita.
Dritta alla testa, senza passare dallo stomaco.
Lunedì pomeriggio era gelato al pistacchio.
Ma vai a trovare una gelateria aperta il pomeriggio di Santo Stefano!
Ne abbiamo girate tre, prima di arrivare all'unica che ci ha accolto.
E ho aggredito il cono prima ancora che la cassiera staccasse lo scontrino dalla cassa, come una drogata.
Si dice che la qualità d'una gelateria vada valutata per la propria crema, e per il pistacchio.
Per la fedeltà agli ingredienti genuini, perché più il gelato è buono, più si dovrebbe riconoscere il sapore dell'uovo, del latte, e dei semi verdi, ben lontani dai pastoni industriali dai colori sgargianti ma dai gusti ingannevoli.
E, per tutti i numi tutelari dei gelatai, quel pistacchio era veramente buono..
Ma ingenuamente avevo dato per scontato che, insieme al pistacchio, fosse concesso anche il mio consueto abbinamento di cialda ripiena di panna montata.
Arrivata al bordo friabile del cono, finito il pistacchio, con il sentore grasso della panna, le porte si sono improvvisamente chiuse con uno schianto: non più una molecola sarebbe arrivata fino allo stomaco!
E già erano pronte le difese di rappresaglia, per rigettare tutto ciò che non era pistacchio..
I gusti son gusti, d'altronde. E a ciascuno è concesso di avere gusti differenti e variegati, soprattutto in tema di cucina.
Ecco...
Avevo messo in conto che ci fosse qualcuno in grado di cambiarmi la vita, ma non avevo considerato che qualcuno avrebbe cambiato il mio gusto.
Non possiedo ricette, formule magiche. Ogni gelato che fabbrico ha un particolare profumo, il suo profumo. Non è mai eguale a quello prima, non sarà mai eguale a quello dopo. Ognuno, però, fa affiorare il ricordo di qualcosa; un viaggio, una passeggiata, una persona cara, la donna amata.
Informazioni personali
- djlara
- Spezzano, Modena, Italy
- Inguaribilmente energetica, e contagiosa.
29 dicembre, 2011
09 dicembre, 2011
UNA TRA UN MILIONE DI STRADE POSSIBILI
Certo che lo sapevo!Prima ancora di pensarlo.
Mio fratello non mi invita mai, fuori a cena. Neppure per il mio compleanno.
Eppure ha scelto il ristorante con il grande terrazzo sulla vallata, al momento del tramonto. Aria fresca ma non troppo. Tutto perfetto.
Come doveva essere.
Mio fratello è sempre stato molto coscienzioso, in effetti, in fatto di scelta di tempi.
La donna della sua vita l'ha conosciuta che erano ancora ragazzini.
C'è cresciuto insieme.
Ha aspettato di finire gli studi per sposarla, come si deve.
Una linea retta.
Con scossoni ed assestamenti, certo, come in qualsiasi storia d'amore.
Ma una di quelle unioni che funzionano bene, pur nelle difficoltà e nelle divergenze dovute al fatto che siamo pur sempre esseri umani, perdinci!
Sì, perchè mio fratello è una brava persona, e non bestemmia, e non dice parolacce offensive.
Da piccoli usavamo parole senza senso, per mascherare le imprecazioni, tipo "iorc'", o "vaffanbego". Che non davano la stessa soddisfazione, certo, ma almeno non dovevi tenere il conto al sabato pomeriggio per quando andavi a fare la confessione. E meno Ave Maria equivalevano a meno male al ginocchio, per quando dovevi scontare la penitenza.
Ora siamo qui, al tavolo del ristorante, con il gnocco strappato e le fette lucide di lardo di Colonnata, ondulate e voluttuose come sfoglie di paradiso.
Non so bene come reagire, perché quando capitano certe cose, hai la percezione che stai vivendo uno di quei momenti per cui dopo non sarà più come prima.
Però sul momento la reazione che scatta è il tilt del flipper.
Non funziona più niente.
E rischi anche di mettere angoscia a chi si sta confidando, che aspetta fiducioso di ricevere l'ondata della tua gioia.
Quella arriva, ma con un piccolo sfasamento, uno slittamento in avanti spazio-tempo-emozionale.
Ed è un urlo.
E' l'abbraccio.
Forse anche una lacrimuccia.
Il gnocco strappato si raffredda.
Il sole tramonta dietro le prime increspature della terra dopo la fine della Pianura Padana. Che tanti ne ha visti, di lacrime e abbracci.
E non è detto che tutti quanti arrivassero dopo una linea retta.
04 novembre, 2011
CIBO DEGLI DEI
Hanno un bel giallo brillante, spiccano tra i colori di questo autunno variopinto. Erba umida sotto i piedi, mano nella mano, a passeggio lungo il canale che oggi hanno lasciato inspiegabilmente aperto.
Scorre veloce l'acqua livida, si vede l'argine rigonfio delle piogge a monte. Gocce di resina odorosa aggrappate ai ciliegi, dove erano stati tentati gli innesti. L'Omone si preoccupa di raccogliere una ghianda, per piantarla nel terraio, e prapararle una coperta di foglie secche, che resista al freddo che sta già arrivando.
Io invece vado subito dalle mele cotogne, sporgendomi sul canale per avvicinarmi un ramo. L'Omone mi prende ai fianchi: "Occhio, bella. Che l'acqua del canale non è così profonda da fare i tuffi!".
Sono frutti pieni, pesanti. Profumano tantissimo, di polpa, di buono.
Hanno una leggera peluria sulla buccia, che cade solo sfregando un po' con il palmo della mano. Non si mangiano così, le mele cotogne. Hanno un sapore asprigno che lega la lingua. Ma riservano sorprese. Tolto il cuore legnoso, sbucciata la pelle gialla, e tagliato tutto a pezzettoni, si fa bollire nel pentolone con un mezzo limone. E così, la mela cotogna, che sembrava così ostica, rivela tutta la sua dolcezza: il calore scioglie le lunghe catene di zuccheri, e il preparato diventa, come per magia, dolcissimo. I nonni usavano la confettura molto concentrata della mela cotogna al posto del miele, per dolcificare. Basta saperlo. Basta conoscerlo.
Il nome latino della pianta è Cydonia: il nome di Atena o Minerva, figlia di Zeus, dea della sapienza e degli aspetti più nobili della guerra, mentre la violenza e la crudeltà rientravano nel dominio di Ares o Marte. Una dea donna ed un dio uomo. Caso strano, però, Cydonia è anche uno delle zone di Marte (il pianeta): quella in rilievo, in cui pare si possa scorgere un volto, femminile.
Donna, uomo. Saggezza, furia. Dolce, aspro.
Tutto contemperato, tutto insieme.
Chi l'avrebbe mai detto?
27 ottobre, 2011
PER FAR LA POLENTA, CI VUOLE OLIO DI GOMITO
E' un uragano che arriva in una stanza. E' un'esplosione di gioia, di rabbia, di vita.
L'ho conosciuta che piangeva, e sentivo l'impulso di curare quelle ferite, e fare in modo che non facessero più così male. Tanta strada fatta, da allora. Non me ne sono resa conto, che il tempo ci ha portato così lontano. Alla fine siamo rimaste amiche, nonostante tutto quanto cambiasse intorno a noi, e anche dentro di noi.
E probabilmente va bene che sia così. Qui davanti allo schermo del computer, l'altra sera. E' quell'ora in cui senti fuori dalla vetrata le ruote che sprizzano acqua sporca sull'asfalto. La radio bassa. La testa che ronza per depositare tutta la giornata.
Me l'ha chiesto così, con la sua solita irruenza.
Senza girarci intorno.
Come se fosse una domanda che mi fa tutti giorni, come se non fosse emozionata anche lei.
Lei che usa la stessa voce per dirti che ti vuole bene o per insultarti, con la fantasia che non metteresti neanche a scrivere poesie. Lei che mangia e parla in fretta, guardando altrove, perché sta già pensando ad altro. Lei che porta da casa sua una tonnellata di polenta con le costine in umido. Accarezza con dolcezza il suo uomo, e lo attacca al muro un minuto dopo con le sue sfuriate.
Stavo lì, dopo la domanda fatidica, con le dita sollevate sulla tastiera.
E avevo già scritto Sì, pigiando a vuoto i tasti nell'aria, ma ancora sorridevo, aspettando.
Non importa quello che si dice. Non importa quello che dicono di te. Tante parole si spendono ogni giorno, senza che ne rimanga alcuna traccia. Poche sono le parole che rimangono dentro alle persone. E soprattutto, se ci sono solo parole, e null'altro dietro, non rimane traccia neanche sulla carta.
Non vale la pena che rimanga traccia nel cuore. Neppure il tempo di far passare una lacrima. O una stretta di cuore.
Importa ciò che siamo. E ciò che vogliamo ancora diventare.
Che se uno lo vuole veramente, mica ha bisogno di dirlo!
30 settembre, 2011
A MEANS TO AN END
La notte dorme.
E' un mare di inchiostro in cui galleggiano bolle luminose, tremolanti per la distanza. Sospese nell'aria ferma come frutti di luce, trasparenti.
Claudia dorme, non sogna niente. E immersa nella sua bolla, rosa palpitante, e non c'è rimasto nulla dello strepito del giorno ormai lontano. Né la scuola, né le piccole lotte quotidiane con la mamma, i sobbalzi del cuore, i pensieri che corrono veloci, le emozioni che bruciano la pelle.
Claudia dorme abbracciata al cuscino, i capelli davanti al viso che tremano ad ogni respiro.
Sulla bolla rosa sta aggrappato Lui, invece. La guarda, come ogni notte. Rapito dal colore di quella pelle, che sembra latte dentro una bottiglia di vetro.
Come sono belli, gli esseri umani! Non ci si stancherebbe mai, di guardarli vivere. I Guardiani non sono così: i Guardiani non si fanno domande, non si arrabbiano mai, non crescono, non invecchiano.
Non muoiono mai.
Gli esseri umani, invece, sono un cambiamento continuo: soprattutto gli adolescenti, che sprigionano tanta di quella energia da dar forma a queste bolle di luce, colorate secondo le sfumatura di chi vi abita all'interno.
Ogni bolla racchiude un ragazzo o una ragazza.
Immerso nel sonno, o china sotto le lenzuola per leggere un libro di nascosto dal fratello minore, o agitato da un incubo. O trepidante, a una finestra, aspettando un segnale amato, un richiamo, un movimento furtivo nel giardino di sotto.
Claudia dorme, invece. E non sogna mai. Sogna durante il giorno, quando la vita sembra troppo dura per poterla sopportare tutta insieme.
Lui la osserva.
La guarda dormire ora, e la guarda vivere durante il giorno. Questa vita così vicina, eppure così irraggiugibile, e incomprensibile.
Claudia non sa di Lui: non lo vede. Ne percepisce la presenza, ogni tanto. Quando sembra che una lacrima si fermi a metà della guancia. O quando balla felice, cantando a squarciagola e saltando sul letto fino a spiccare il volo!
Ma ora Claudia non sente nulla: ora tutto riposa, fuori e dentro la bolla.
Domani ricomincerà tutto quanto daccapo, la scuola, e le piccole lotte quotidiane, e i respiri del cuore: e Lui sarà lì con lei, come sempre a vegliare.
12 settembre, 2011
NON STARE IN DISPARTE
Non stare in disparte.
Mi piace quando sei tra i piedi.
E non sai dove sono le cose.
Fai sempre fare tutto a me.
Anche perché mangi il pane prima della cena.
E usi la noce moscata dove non ci vuole.
Lasci tutti gli sportelli aperti.
Rovesci il caffè sulla tovaglia appena lavata.
Bevi il succo dal cartone.
Non metti mai via la roba quando cucini.
Appoggi il bicchiere bagnato sul lavello in acciaio.
E ti scappa sempre il sale.
Ma ti giuro: senza di te non saprei proprio come fare.
25 agosto, 2011
SE IO FOSSI UN GIGANTE
"Senti questo!.."
Si chiamano armonici, e sono i suoni particolari che possono essere prodotti su un qualsiasi strumento a corda: questi sono armonici fatti con il basso.
Sono udibili pizzicando una corda con la mano destra e sfiorandola con la sinistra, senza premerla, ad una certa altezza del manico dello strumento.
Ancora più difficili da trovare se il basso è senza tasti, fretless. Ma proprio per questo più preziosi. Non è il suono pastoso e fermo del basso, quello che ti dà l'incedere del pezzo senza via di scampo. Questo è molto più sommesso, intimo, morbido. Come il tocco sulla corda: non la ferma, e la senti vibrare sotto al polpastrello.
Marcello tiene il basso molto alzato, quasi sotto le ascelle. E visto che lui è uno spilungone allampanato e tutto curvo, l'effetto d'insieme quando suona è di vedere un basso sui trampoli.
Mi ha battezzato subito malissimo, Marcello; per essere entrata in sala prove senza tante cerimonie, per aver aperto la custodia della tastiera senza chiedere permesso, e per aver cominciato subito a suonare.
"E questa qui chi si crede di essere?"
Peccato che, in realtà, tutto quanto funzionasse a meraviglia. La tastiera prendeva al volo quello che tessevano con il ritmo lo spilungone e l'Ingegnere, alla batteria. Fede cantava e suonava quella sua chitarra piccola piccola, che sembrava un giocattolo.
Innumerevoli sere siamo riemersi dalla sala prove a notte fonda, con le orecchie che ronzavano e la faccia sorpresa dall'aria fresca.
Appena presa la macchina, la Uno 45 Sting grigia ribattezzata LUPA (con tanto di adesivo con il nome sul baule: un vero tocco di classe!), ho guidato subito fino a Magreta da Marcello, per fargliela vedere, tutta orgogliosa di essere diventata grande.
E subito abbiamo guardato se ci stava tutto, in macchina: se si riuscivano a stivare nel sedile di dietro basso/tastiera/cavi/sostegno/pedali. Se si escludeva completamente la visione nello specchietto retrovisore, ci stava tutto: l'ingombro era pari a caricare la Ulla, il cane San Bernardo di mio fratello. Che, però, aveva il vantaggio di poter mettere la testa fuori dal finestrino, contrariamente al basso e la tastiera che invece era meglio tenere dentro del tutto (con quello che li avevamo pagati, orcocane!).
Tante volte li abbiamo stivati sul sedile posteriore, per andare alle prove, ai concerti, a cazzeggiare per i fatti nostri, con anche la fisarmonica: come il pomeriggio che dovevamo incidere il nostro primo demo, quando abbiamo imparato che i registri della fisarmonica sono tenuti insieme con la cera, ed è buona norma non lasciarla mai in macchina, parcheggiata al sole.
Io sapevo, quando sono uscita fuori con la fisarmonica davanti a tutte quelle persone, al raduno dei Nomadi, che dietro c'era Marcello, con gli occhiali, il naso sottile e i capelli raccolti a coda di cavallo, e stavo tranquilla. Perché Marcello non sbaglia mai gli attacchi, e le mie sbavature sembrano quasi fatte apposta, unite a quella precisione ritmica millimetrica. Marcello sa suonare i pezzi di Pastorius. Marcello mi ha portato il disco degli Area autografato da Ares Tavolazzi.
Marcello fa gli esami di fisica, all'Università: macina formule facendo scricchiolare il gessetto sulla lavagna. E il professore gli fa una domanda difficilissima. Lui si ferma un attimo, cercando con le dita sottili i rari peli di una barba ancora in divenire, lo guarda e gli dice:
"Ma lo sa che me lo sono sempre chiesto anche io?".
Ora, dopo tanti anni, te lo posso dire: non valeva la pena rinunciare alla tournée per colpa di un moroso geloso!
Quella storia d'amore, o forse meno, è stata fagocitata dal tempo e dalla memoria. Così probabilmente sarebbe successo anche a noi, ed al nostro incredibile ed eclatante successo musicale.
Eppure le nostre canzoni io me le ricordo ancora.
E sai che ti dico?
Mi sono messa in testa di chiederti se suoni ancora Pastorius..
18 agosto, 2011
COMBINAZIONI ENERGETICHE RESPONSABILI PER RIEQUILIBRARE LA PRESSIONE DELL'UOMO SULLA TERRA
Taglia le zucchine a bastoncini verticali, lunghi più o meno 5 centimetri.
Guarda il telefono: deve arrivare un messaggio dall'ospedale. Ormai si sono rotte le acque già da un giorno e mezzo, e dovremmo quasi esserci.
Taglia nello stesso modo anche le carote.
Guarda di nuovo il telefono, e pensa a quando l'hai conosciuta, sugli spalti dello stadio a Parma. Ti ha guardato e ti ha detto: sì, vengo a giocare. E quella risposta, diversa dai 100 no a cui eri abituata e quasi preparata, ti fa sorridere.
Bisogna sminuzzare il prezzemolo, e tritare la cipolla. Fare sfrigolare fino all'imbionditura, e grattugiare un po' di scorza di limone, per il profumo.
Bassi, tocco, pausa... ingaggio. Non hai idea di cosa possa essere, una donna di fronte al suo primo parto. C'è chi lo aspetta con ansia, chi lo teme, chi prova tutte e due le cose contemporaneamente.
Prima le carote, in padella, che sono più lunghe a cuocere. Mezzo bicchiere d'acqua, e un getto di vino bianco. Poi le zucchine.
Ancora il telefono non dà segni. Forse prende male: prova a chiamare la Bomba.
10 minuti in padella: veloce veloce. Ultimo tocco di sale, e va fatto raffreddare.
Una julienne che accompagna la carne bianca aromatizzata.
E ancora il telefono non suona.
Dai, spingi. Che sei una pilona.
A presto.
12 luglio, 2011
PANCONE
E ci sta, ora, che io prenda in giro chi non sa cucinare.
Mi ricorda bei tempi andati, in cui il tempo era poco, la fame era tanta, e bisognava ottimizzare un frigorifero spoglio e una mansarda in cui, appena si accendeva un fornello, sembrava di stare in una sauna.
Per cominciare, la pancetta, che dà tanta soddisfazione. Diventa il minimo comune denominatore per qualsiasi piatto, primo secondo o in ordine sparso che sia. E già rende un po' l'idea di proteine, di sostanza. Tutto il resto diventa il "qualcos'altro" da metterci in mezzo.
Per esempio, la versione "light" (!!!) del pancone, che prevede l'aggiunta di pomodoro, uova e sottilette. Più qualche ingrediente segreto, attinto dai barattoli della mensola sopra i fornelli. Sempre aperti, i barattoli delle spezie, visto che non bisogna correre il rischio che nell'altra mano ci sia una birra. E casomai appoggiarla, o altre assurdità.
Il pancone prende forma, o meglio, si sforma in tutto il suo splendore. Pronto da mangiare alla forchetta o al cucchiaio (dipende dal numero delle uova). Con abbondante utilizzo di pane, che diventa indispensabile soprattutto quando prima è scappato il peperoncino.
Il pancone è studiato nei centri di preparazione alle uscite degli astronauti nello spazio, perché contiene tutto: materia e antimateria. Nutrimento, gusto e soddisfazione.
L'importante è non dover andare a giocare a rugby subito dopo, il pancone.
Perché il pancone è nemico dei campi da rugby, così come è nemico dell'acqua. Acqua e pancone formano un calcestruzzo compatto e viscoso, nello stomaco, con un peso specifico elevatissimo ed una consistenza inadatta ad essere contenuta da un apparato digerente.
Il pancone, inoltre, è altrettanto nemico del divano, poiché la posizione orizzontale favorisce la fuoriuscita della sostanza, a guisa di blob, come insegnano i peggiori film d'orrore a basso budget.
Il pancone sarà ricordato a lungo, dopo averlo incontrato.
E dolorosa la separazione fisica da questo elemento, che si farà riconoscere in maniera ancora più incisiva all'uscita.
Per sintetizzare: assunzione pensierosa, permanenza difficoltosa, espulsione penosa.
(Dedicato all'autore della ricetta: un uomo meraviglioso, che spero non me ne vorrà, per questo amabile sfottò. Anche perché ciò significherebbe aumentare la dose del peperoncino, nel pancone. E questo non è umanamente sopportabile)
27 giugno, 2011
MAD WORLD
Rimango con le chiavi a mezz'aria, nell'atto di aprire la porta.
Sta sulla maniglia.
Il sacchetto della spesa, floscio e ammainato, con dentro i miei 4 stracci.
Dicono che il succo di frutta più caro al mondo sia il succo di arancia bonsai. Per farne un litro, se ne spremono migliaia.
E costa quanto un piccolo appartamento.
Dev'essere veramente un cazzata, ma è la prima cosa che associo a questo sacchetto: un succo di una storia.
Anni di treni presi e aspettati. Anni di mancanza lancinante.
Anni di rabbia repressa, speranza sfumata, illusione e risveglio.
La distanza, poi la rottura.
E rimane questo sacchetto appeso alla maniglia della porta, a ricordarmi che non esistono strade diritte.
Non esiste la quiete conquistata, ma un equilibrio apparente e temporaneo.
Una bolla di rapporti che rischiano di esplodere.
Una vita in bilico.
La persona più cara che mi guarda, da sopra la federa di un cuscino, e mi dice: "Mi sembra di vivere in una gabbia di matti!".
26 aprile, 2011
POSSA IL MIO GRIDO SOVRASTARE E SMORZARE IL CREPITIO DEI MOSCHETTI CHE MI DARANNO LA MORTE!
Il seitan è un alimento proteico ricavato dal glutine del grano tenero, o da altri cereali, come farro o kamut.
Lo manipolano a forma di cotoletta, o wurstel, per placare nei neo vegetariani l'istinto di sbranare carne.
Alessandra e Luca mi regalano un bello spaccato di vita familiare, prima di imbracciare basso e chitarra.
Mi sa proprio che ci fanno tutti quanti un po' storti.. per questa cosa qui, che ci viene paura così tanto facilmente.
Beh, poi.. facilmente per modo di dire.
Magari viene fuori dopo 15 anni che uno suona.
E improvvisamente, senza motivi apparenti, ti chiudi in macchina e non vuoi più uscire. Poi basta la prima canzone, e tutto si riposiziona nel modo giusto.
Magari una mattina ti svegli e decidi che non vuoi più suonare per altre persone.
Anzi, che non vuoi più suonare per niente.
Fino ad un attimo prima uscivi fuori sotto un cono di luce, imbracciando la fisarmonica, di fronte a mille persone.
Le canzoni ti scorrevano da dentro, e non avevi neppure bisogno di usare la testa, per passarle dal cuore alle dita.
Poi, ad un certo momento, non è più uscito nulla.
E non si sa se scriverai mai più una canzone.
Ma cosa ne so, io, della paura?
Che non ho mai sentito un solo sparo dal vivo?
Mi nonna mi ha protetto dalla guerra.
Raccontandomi solo la parte rassicurante. Di quei ferri da maglia molto larghi che servivano per fare i maglioni agli americani, che erano arrivati tutti vestiti leggeri, convinti di fare un tuffo nel sole e nel caldo del Mediterraneo.
Ma i ferri da maglia sono la fine della paura.
Nulla so di quello che è stato passare le notti in stalla, con il rumore dei bombardamenti.
Nulla so del freddo patito dal nonno sulla strada infinita di ritorno dalla Russia.
Intanto, qui la notte non è ancora finita.
Stringiti a me.
Appoggia la testa, e chiudi gli occhi.
Non c'è fuori il rumore di bombardamenti, ma la paura la conosciamo lo stesso. Ce la portiamo dentro in qualche gene sfuggito al controllo.
Ci fa ascoltare la musica con una profondità che fa venire le vertigini.
Ci fa piangere, di gioia, di sofferenza, o solo di bellezza.
Ma non bisogna avere paura di questo: che ci hanno fatti un po' storti, ma tutto quanto, alla fine, si riposiziona nel modo giusto.
11 gennaio, 2011
SIMPATICO E PARASIMPATICO
E' una carne meravigliosa. Apre infinite possibilità di sapori.
Prima di iniziare, ho messo in una terrina i cuori di carciofo, con acqua e limone, per non farli scurire e per cominciare a profumarli.
E in un'altra ciotola, due arance, sbucciate, aperte a spicchi e ancora tagliate. Da schiacciare leggermente e mescolare con un po' di olio, salvia e menta.
In un tegame largo ho sminuzzato una cipolla, e ho messo due spicchi d'aglio interi. Vanno fatti imbiondire, e quando l'olio è bello sfrigolante, ci vanno aggiunti i pezzetti di pollo, preventivamente infarinati.
5 minuti di scottatura, e si comincia ad aggiugere il brodo, da un bricco a parte.
In ordine, si mettono prima i carciofi (sgocciolati dall'acqua e limone, e da cuocere per una mezzoretta), poi l'arancia (con tutto il sugo, qui, da cuocere per 10 minuti).
La buccia delle due arance non va buttata tutta: si ritagliano alcune striscioline, che andranno a guarnire la cima del piatto.
Profumo.
Sapore.
Piatto da gustare insieme ad un vino siciliano, bianco e fermo, fruttato.
E' un tripudio di sensi.
Così mi metto a tavola.
Con l'idea di godermi una bella fetta della mia vita.
Perché non mi piace ingozzarmi: la sensazione della pienezza di pancia non è sempre piacevole, soprattutto se uno si perde tutto il tragitto in mezzo.
Non conosco neppure il sospetto di chi guarda dentro il proprio piatto: il senso di colpa per ogni boccone che si mastica. Il colesterolo. L'ipertensione. L'obesità, forse. Calcolare a mente quante ore di ginnastica saranno necessarie per ristabilire l'ordine calorico del proprio organismo.
Ora mi fermo, però: tampono col tovagliolo il bordo del labbro, e mi metto ad ascoltare, che questa visione del mondo mi giunge nuova.
Caro Dottore, mi sono sempre ritrovata una testa piuttosto ingombrante.
Non tanto per la mia intelligenza, per l'amor del cielo, che è quella che è..
Non mediocre, ma neanche eccellente.
Una carriera scolastica proseguita senza intoppi, con soddisfazione sia personale, sia da parte dei miei genitori, che volevano sì il "pezzo di carta" per me, ma sono anche sempre stati piuttosto preoccupati che fossi felice di ottenerlo, e che non mi costasse troppo sacrificio.
Ecco: questo proprio no!
Il sacrificio era ampiamente sopportabile perché il mio cervello ha sempre avuto fame.
Fame di capire. Fame di sapere.
Il libro non è mai stato una montagna da scalare. Una maratona per gli occhi.
Il libro era un piacere, ritagliato per me. Il fatto di sprofondare per qualche ora in un altro mondo, e perdermi nei suoni delle parole, evocare i luoghi e le storie fuori dalle pagine e davanti ai miei occhi.
Ho sperimentato la tristezza per aver terminato molti testi. Pregando che, per uno strano incantesimo, le pagine si moltiplicassero verso la fine, per non lasciarmi orfana di certe sensazioni.
Ho percorso alcuni libri più volte. Molte volte. Per intero, o assaggiando pagine in maniera sia casuale, sia mirata.
Pochi libri sono stampati per intero dentro di me. Ne porto i segni addosso, e sono parte della mia persona, completamente metabolizzati.
Ma neppure una volta mi ha sfiorato l'idea che questa passione potesse andare a scapito del mio corpo.
Quello che ho visto in te, è che questa cosa è possibile.
Ed io non me ne sono neppure mai resa conto.
Ti ho riconosciuto. Questa testa fuori dall'ordinario, che funziona come un meccanismo pregiato.
Ti ammiro. Avrai la possibilità di visitare luoghi del pensiero che io non potrò neppure immaginarmi lontanamente; andrai a scoprire regole e ragionamenti mai percorsi da nessun altro prima di te.
Ma non ti invidio.
Ho visto quanto distacco c'è tra il tuo cervello prodigioso ed il tuo corpo.
Trascurato, per tanto, troppo tempo.
Il corpo non è una potenziale minaccia, da tenere monitorato per scoprire quanto prima possibile le trappole che ci vuole tendere. Il corpo va ascoltato, ma non con uno stetoscopio.
Il corpo non va usato solo per aggiustarne le pulsazioni, o per aumentarne la resistenza, o per resistere alle intemperie ed alla corruzione della malattia.
Che il corpo sia anche uno strumento di piacere, l'ho sempre saputo.
Ma è una sensazione continua che va coltivata, coccolata, riconosciuta giorno per giorno. E' il motivo per cui cucino pollo ai cuori di carciofo e profumo di agrumi anche quando sono da sola. E' il motivo per cui non mi dimentico mai di aggiungere essenze ai miei bagni caldi. O scelgo con cura il disco da ascoltare appena rientro a casa la sera.
E non è un risultato da raggiungere attraverso formule scientifiche precise, o "giochetti" e trucchi, pensati in astratto e mai interiorizzati.
Mi piange il cuore vedere quanta distanza ci sia tra il mio modo di sentire la vita ed il tuo: ciò non significa che necessariamente uno dei due modi sia sbagliato e l'altro giusto.
Potrebbero essere tutti e due giusti, se tutti e due fossimo effettivamente felici.
Ma senza medicine.
Io non ho bisogno di medicine.
E tu neanche, probabilmente: perché, in realtà, credo che prendere medicine sia solo un altro modo per non ascoltarsi.
Il tuo corpo ti sta mandando dei messaggi. Il tuo cervello ti sta mandando dei messaggi. Puoi anche ignorare uno e l'altro.
Ma tu lo sai certamente meglio di me: non sempre curarsi significa guarire.
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