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Inguaribilmente energetica, e contagiosa.

09 giugno, 2008

GNOCCO STRAPPATO



In buon italiano si dovrebbe dire LO gnocco.
Ma se qualcuno dice LO gnocco, e non il gnocco, vuol dire che quel qualcuno non è modenese.
Il gnocco fritto è il pasto dei contadini.
Si alzavano molto presto, un tempo. Alle quattro di mattina, per governare il bestiame e per il lavoro sui campi, con le pendenze clementi dell'Appennino Modenese. L'erba dei prati ancora madida di guazza notturna, o le rade sterpi cristallizzate di ghiaccio scintillante. Scarponi sformati. Lunghe falci da ripassare con una pietra riposta nella cintura, per essere affilate. Cappelli di paglia da cui scendeva copioso un sudore acre di fatica.
Alla mattina alle sette, quando il sole cominciava a scaldare la terra, già erano trascorse dure ore di lavoro: quelle più produttive, perché graziate dal caldo, dagli insetti e dall'umidità feroce che sale dalla pianura padana. Era allora che si faceva colazione: ceste di gnocco fritto, portate dalle donne. La pasta del gnocco viene tirata con il mattarello, in larghi lenzuoli di sfoglia. Tagliata a rombi con una rondella frastagliata, che lascia il bordo del lembo a zig zag. Tuffati i pezzi di gnocco nell'olio bollente, o nello strutto, si gonfiano come palloncini, e vanno girati rapidamente, con un cucchiaione di legno, perché in un intervallo molto breve il gnocco si può bruciare. Bello il momento in cui la pasta esplode in tutta la sua pienezza.
Buono il gnocco caldo dopo. Con i salumi. O con la marmellata di amarene.
Ora il gnocco non si mangia più nei campi. Ma i pochi bar di Modena che alla mattina friggono gnocco e lo servono caldo per colazione sono sempre stipati di gente in fila, pronti a prendere l'ultimo pezzo di gnocco ancora bollente.
Mi piace osservare il viso di chi mangia gnocco per la prima volta, venendo fuori da Modena.
Il viso in questione, poi, mi era particolarmente caro. E mi sono saziata di riflesso del gusto con cui pescava a piene mani nei ciccioli, nel lardo, nel salame morbido e profumato.
Pioggia battente, in stazione a Bologna. Ho con me un ombrello largo, che possa tenere tutti e due coperti. Scende per ultimo dal treno, proprio dal portello in cui mi ero fermata per aspettarlo, con la maglia degli Springboks e gli occhi luminosi.
Nell'attimo in cui mi lancio verso di lui per abbracciarlo e baciarlo, un mariuolo ne approfitta per fregare l'ombrello: c'è sempre qualcuno disposto ad approfittarsi della felicità altrui.
Ma chi se ne frega: a questo punto posso anche permettermi di passare tutti i semafori di Bologna col rosso. Sono felice, sono un fiume di parole in piena, mentre l'emozione appanna dal di dentro i vetri della macchina.
Ho un vestito carino. Ho i tacchi alti. Volevo essere bellissima per lui.
E il tempo va un po' a farsi benedire. Si ripete quella stortura, già avvertita fin dalle prime volte in cui stavamo insieme, per cui molte ore si condensano in cinque minuti.
Domenica ho ricevuto un ulteriore regalo della vita, l'ultimo in ordine di tempo.
L'emozione unica di giocare una partita insieme con il mio uomo.
Mentre le altre ragazze il loro uomo lo avevano di fronte (era lo scontro interno tutto formiginese tra le Foxy Ladies e la Serie C maschile), pilone contro pilona, mediano contro mediana, io lo avevo al mio fianco. Con il batticuore tutte le volte che andava ad impattare. Con la percezione fisica della sua rabbia tutte le volte che gli avversari impattavano me.
Alla fine della partita ci siamo ritrovati distesi sull'erba, a bordo campo. Io gli bagnavo i polsi e le tempie con acqua fresca. Senza parlare. Io tutta scarmigliata e rossa in viso. Lui in un bagno di sudore. Ma me lo sentivo troppo nostro, quel momento. Siamo andati insieme verso gli spogliatoi, ed era mezzo un abbraccio e mezzo un allacciamento di ingaggio, non si capiva tanto bene.
Quando il treno è ripartito, la sera stessa, verso il profondo nord, sono rimasta sul binario a guardare l'ultimo vagone sparire alla mia vista. Tanto belli i treni quando arrivano, tanto brutti quando si allontanano. Banale? Forse.
Ho abbassato la visiera del cappellino del Galles, mi sono messa le mani in tasca e sono andata a rifugiarmi nell'abbraccio rassicurante dell'Olga.

6 commenti:

Anonimo ha detto...

Come dire... un bello gnoco per una bella gnocca (che non capisce un c**** detto per inciso)... ihihihi!!!!

Lady O

Billie MacGowan ha detto...

:) 'ste stazioni, eh? che effetto che ci fanno. però pensa che, beh, ok, il treno ha allontanato il tuo gnocco temporaneamente, ma son sicuro che lui, da bravo gnocco, è fritto di te, e presto arriverà un treno a riportarti da lui o a riportarlo da te!

bazi
Billie "Er Rotaia" MacGowan

Anonimo ha detto...

Lara, mi hai fatto venire gli occhietti lucidi. troppe volte ho provato le tue stesse sensazione. e troppe volte mi dico che non è nè la prima nè l'ultima volta.. Sembra facile da dire, ma solo chi lo prova sa cosa significa. (Cmq un ringraziamento particolare alle ferrovie dello stato, che ci permettono tutte queste emozioni) un bacio grande.. Jenni B

Orso ha detto...

"Cmq un ringraziamento particolare alle ferrovie dello stato, che ci permettono tutte queste emozioni" (cit.)
Dev'essere per questo che i biglietti costano uno sproposito... ;)

Ma lo Springbock nostrano come si esprime? In "Friulaans" ??? :)

Un abbraccio

Ors Du Randt

Anonimo ha detto...

x orso..
Ci sono cose che voi umani non potete capire! :)

Jenni B

djlara ha detto...

Wish You Were Here.

L'altalena cardiaca prima dell'arrivo.
La calma innaturale dopo la partenza.

L'agitazione frenetica di giungere nella sala d'attesa.
La sensazione che tutti ti scivolino via intorno, come scorrere di acqua, quando lasci la stazione.

L'amore, sempre e comunque.
Vicino e lontano.