Quando vado in moto, non riesco a tenermi agli appositi manigliotti a fianco del sedile del passeggero. Per la gioia di Ennio, sto proprio attaccata al pilota, a koala sulla schiena. Peso doppio sulle vertebre. E un fastidioso toc-toc-toc che, ad ogni frenata, fa far cin-cin ai due caschi, con un effetto rimbombante alla testa estremamente fastidioso.
Io urlo: "Scusaaaaaaa", ad ogni toc, cercando di superare il frastuono del motore e del vento, mentre lui scuote la testa, sconsolato.
Mi piace andare in moto, perché ho tempo per guardarmi intorno. E, dopo un po', il rumore mi fa partire delle canzoni, in testa, dentro il casco: e le canto tutte benissimo, perché la musica affiora dall'apparente caos, e il sottofondo fa sì che anche le stecche siano graziate. Quanta soddisfazione, a cantare dentro il casco! Come quando si canta sotto la doccia. La moto (e la doccia) rendono giustizia agli stonati.
E mentre canto, posso fare un sacco di altra roba: arredare mentalmente la casa nuova, ripassare tutte le (tre) parole in friulano che ho imparato, arrotolarmi il cervello per cercare di ricordarmi come si chiamava l'attrice che faceva Miranda in Sex & The City.
E, tra una sciocchezzuola e l'altra, tornante dopo tornante, ci ritroviamo a 2600 metri, in mezzo alle cime più alte dell'Austria, a fare a palle di neve, o a scaldarci ad una stufa di maiolica, invece di stare su una spiaggia a rosolarci al sole.
La discesa dalle montagne è entusiasta e piena di buoni propositi: si parla già di polenta con costaiola di maiale, dopo un buon aperitivo alla Pecora Nera di Tricesimo. Accostiamo la moto, per una cortese telefonata a casa, per avvertire che siamo vivi e siamo rimpatriati.
Grave imprudenza.
Lo spiazzo è di fronte ad un locale che assomma tutte le caratteristiche più disgraziate per un locale pubblico: si chiama "Ristorante Mexico". L'ingresso dà direttamente sulla strada pubblica (nel senso: esci piano dalla porta, se non vuoi farti pestare un piede da un camion lanciato a folle corsa verso il confine austriaco), non c'è parcheggio, il centro del paese se ne sta proprio dall'altra parte, oltre il ponte, ben lungi da poter intrappolare qualcuno con l'odore promettente fuoriuscito da un'invitante cucina.
Leggo, con malcelata smorfia di alterigia, le numerose specialità elencate, osservando astutamente che troppe specialità fanno sì che non ci sia, in realtà, nessuna vera specialità (quanta saggezza culinaria! Sto diventando cinica come il peggior Raspelli in circolazione)...
Pizzeria.
Cucina messicana.
Cucina tipica (vien da chiedersi: tipica di dove, per fare le pugnette?).
Lasagne (uh?!).
Internet Point (che con la roba da mangiare c'entra fino a mezzogiorno).
Video Music (Video Music? Questa sì che è una prelibatezza: dopo anni e anni di strapotere imperante di MTV... MTV, get off the air!).
E infine, aggiunto posteriormente: Solo per oggi, cjalsons. Ma il cartello recava già parecchi strati di polvere, quindi vien da pensare malignamente che l'oggi del cartello, in realtà, si ripeta già da parecchi "oggi", come quel Il Giorno della Marmotta con Bill Murray (sarà un caso, ma le marmotte le abbiamo viste davvero, durante la giornata).
Riponiamo il telefono, dopo aver assolto i doveri familiari, pregustiamo il pasto ferino con sano appetito acuito dall'aria fina dell'alta montagna, e dal fatto che a mezzodì avevamo ingerito soltanto un misero wurst.
Ma il buon Dio è dotato di senso dell'umorismo, evidentemente.
E se fa ridere, vale.
Ma non l'ho pensata così, nell'immediatezza dei fatti.
Ennio gira la chiave della moto, e la moto non dà segni di vita.
Riproviamo.
Un misero baluginare sul quadro elettrico, poi più nulla.
"Fusibili", dice lui. E io, già in preda a deliri per la fame, capisco fusilli.
Ma non sono i fusibili. E neanche i fusilli.
Sapete quella storia che raccontano sulla solidarietà tra motociclisti, per cui se un motociclista si trova in difficoltà sul ciglio della strada, tutti quelli che passano si fermano a soccorrere?
Non date mica retta.
Mica vero.
I motociclisti avevano fame anche loro: salutavano, e tiravano dritti, belli belli, verso le loro cene fumanti in tavola.
Noi ci guardiamo: per il furgone della pietà, chiamato a soccorso per caricare noi e la povera moto, serve almeno un'ora di speranzosa attesa. E nel frattempo, che fare? Non si può mica stare lì, sul ciglio della strada, con la pancia vuota!..
L'insegna rossa scadente del "Ristorante Mexico" ci guarda, quasi sogghignando beffarda. Invitante, certo, ma anche ambiguamente inquietante. Come l'insegna di un Titti Twister, dopo il tramonto: carico di lusinghe ma, in realtà, infestato dai vampiri.
E sia.
Lasciamo ogni speranza, prima d'entrare.
In realtà, il cartello con le specialità è risultato ingeneroso, rispetto alle attrattive del locale: oltre all'internet point (un catorcio di computer spento, con uno sgabello davanti), abbiamo anche incontrato due Juke Box (uno alimentato con roba scottante degli anni '60, da Adamo ai Primitives; l'altro con un bel pot pourri di tutto il resto, dagli AC/DC a Shakira), un flipper di Space Jam, varie foto dell'oste con celebrità di dubbia provenienza, un grappolo di campanacci da mucca appesi alla porta d'ingresso per appalesare la nostra entrata.
Nonostante i campanacci, però, nessuno sembra scosso dal nostro ingresso.
Anzi, non c'è proprio nessuno.
Saliamo al piano superiore, da dove provengono garrule risate, tonanti bestemmie, e il sottofondo rassicurante di un inizio di partita di calcio dell'Inter... oh, quanto ci è mancato durante l'estate lo sport narcotico nazionale..
Arriviamo al piano di sopra, interrompendo la conversazione del tavolo, i cui occupanti (la Signora Oste e la sua famiglia) ci guardano palesemente ostili.
Non sono per niente convinti delle nostre intenzioni serie (di assicurarci un pasto caldo dentro lo stomaco), e credo abbiamo ritenuto più probabile l'ipotesi della rapina a mano armata (coi caschi, magari...).
La Signora sonda il terreno nemico: "Siete italiani?".
"Sìììììì...". Sorridiamo in stereo, per cercare di rassicurare la tavolata e ristabilire il clima festoso di poc'anzi.
Risposta sbagliata: "Beh, allora sappiate che i tedeschi oggi hanno spazzolato tutto, e non c'è rimasto niente da mangiare".
Un ristorante senza roba da mangiare? Non male, come inizio.
Ma la Signora però ha in serbo ben altre meraviglie: "Certo, le pizze sono finite, ma se vi accontentate di quello che c'è... Ecco: per esempio, oggi pomeriggio alle due ho fatto le lasagne!".
In trappola, come due novellini.
Risulta facile formulare una semplice considerazione logica (del tipo: ma se il locale a mezzogiorno era invaso da un'orda di crucchi affamati che facevano fuori tutte le pizze del mondo, dove ha trovato la Signora il tempo per preparare delle ottime lasagne, da servire ai clienti che non si aspettava sarebbero arrivati la sera stessa?), ma sul momento ci siamo trovati in trappola, prigionieri della nostra stessa fame. Vada per le lasagne!
Che eravamo stati fregati, lo abbiamo capito subito, quando la Signora si è presentata al tavolo dei suoi familiari con una sfornata di pizze messicane: orribili ibridi di pasta, sovrastati da un totem con sombrero nel mezzo del piatto, circondato, come tante piccole offerte votive, da nachos, patate fritte, peperoni, e chissà quali altre incongruenze culinarie.
E arrivavano anche le lasagne.
Condite dalla più grossa bufala che io abbia mai sentito con le mie orecchie.
La Signora Oste ci rifila una balla talmente pacchiana che risulta quasi oltraggiosa, come l'erba cipollina infilata nel ragù delle lasagne. Pare che una cliente bolognese, trovatasi nel locale, così contenta, ed anzi, commossa, per la bontà dei cjalsons assaggiati nel locale, ne abbia ordinato ben 15 teglie (15!!!) da recare con sè al rientro a Bologna. Quale souvenir del posto..
Ed anzi (proseguiva l'oste, nel pieno delirio di onnipotenza provocato dal suo stesso racconto), pare che le teglie siano giunte a destinazione, nel bel mezzo del Piano Padano, quasi ANCORA CALDE (ooooooooh, miracolo! S'ode dalla folla rumoreggiante!).
Io ed Ennio affondiamo le forchette impotenti, in quegli strati di pasta insapidi e refrattari al sugo, in quel condimento dal sentore di ketchup, in quella bolgia di unto che, tradimento, riesce solo ad impressionare il palato con un'ustione per la materia fusa al suo interno.
Triste è il rientro, non in sella al destriero su due ruote. Ed ancora più triste la nottata, in preda a spasmi per una digestione che non ne vuole sapere di giungere a compimento: altro che lasagne fatte il giorno stesso! Que viva Mexico!
NOTA DELL'AUTRICE: Visto che il locale era anche un internet point, non è escluso che qualcuno dei gestori del locale càpiti, in un futuro non tanto remoto, su queste pagine e ne rimanga sentitamente oltraggiato. Bene, mi rivolgo a Lei direttamente, Signora Oste: non se ne abbia a male. Lo abbiamo fatto per dileggio, per irridere la nostra sorte avversa. Non per cattiveria o per ingratitudine, o peggio, per risentimento nei confronti di un prezzo eccessivo per le libagioni assicurateci.
E comunque... quelle lasagne facevano veramente cagare!..